Curatore alla Biennale? No, grazie
Il Cairo (Egitto). «Il sogno di tutti i curatori è partecipare alla Biennale di Venezia, ma io non posso farlo». A dirlo è Mohamed Talaat, cariota, direttore per sei anni del Palazzo delle Arti, collaboratore per le Biennali del Cairo e di Alessandria, scelto dal Ministero della cultura egiziano per essere il curatore del Padiglione nazionale alla Biennale, ma che, contro ogni aspettativa, ha rifiutato. Eppure gli artisti ci sono già, lo scultore Khaled Zaki (che ha vissuto in Italia) e il pittore Mohamed Banawy, e c’è anche il progetto per il padiglione. Allora a che cosa serve un curatore? È quello che si chiede Talaat e rivela i metodi fumosi del Ministero che ha nominato una commissione di nove «saggi», tra artisti, curatori e critici famosi, per selezionare i migliori progetti per la Biennale.
Che in tempo di crisi i curatori debbano adeguarsi alla mobilità del proprio ruolo non sembrerebbe una novità e che gli artisti prendano finalmente consapevolezza dei contenuti delle proprie opere, giustificandoli con dei progetti, non è del tutto negativo, ma la competizione per l’assegnazione in questione pare non sia stata proprio lineare. Il bando (poco pubblicizzato) era pubblico e si è concluso in tempi troppo brevi per la realizzazione di un progetto, solo una ventina di giorni. Ma il vero mistero è sul finale: dopo la scadenza del bando e la selezione di due progetti, che si stavano contendendo la vittoria, il concorso è stato stranamente riaperto, forse per i distratti dell’ultima ora. Ad avere la meglio sono stati comunque Khaled Zaki e Mohamed Banawy, già selezionati in prima istanza. La situazione era un po' ingarbugliata e tra mancanza di fondi, impegni vari e un progetto già esistente senza un curatore, Talaat proprio non se la è sentita, e ha rifiutato la Biennale. Il tema di quest’anno, «Il Palazzo enciclopedico», secondo il mancato curatore Talaat, ha una consistenza liquida, non specifica, totalmente aperta, e il progetto del Padiglione egiziano parte proprio dal titolo e trasforma l’interno del suo spazio in un cammino verso la conoscenza. I simboli usati e le tecniche affondano le radici nella tradizione e nella mistica egiziana per un infinito viaggio trascendentale.
da Il Giornale dell'Arte, edizione online, 12 aprile 2013