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Creare architetture col vento

  • Pubblicato il: 16/03/2015 - 01:25
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Rubrica: 
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe

Creare valore con la cultura e l’arte sembra essere una priorità nelle aziende familiari piemontesi. Illustri esempi – da Olivetti a Ferrero – testimoniano la volontà di attuare un’utopia realizzabile,- industriale ed estetica al contempo, capace di innescare un cambiamento, partecipando attivamente ad un sistema di welfare locale orientato alle comunità, al territorio, al consolidamento sociale.
Un territorio di copiosa fertilità e attenzione verso l’impegno civico e sociale lo si incontra nel biellese, uno dei più importanti distretti internazionali dell’industria tessile e laniera, il più importante al mondo nella produzione di filati e tessuti di altissima qualità, legato alla specializzazione nella produzione e lavorazione di filati e tessuti di grande pregio: dal cachemire, vigogna, alpaca, mohair e pelo di cammello fino alle lane australiane superfini. Se si considera anche l’estensione di alcune aziende nel territorio vercellese, il distretto biellese produce circa il 40% del mercato mondiale del tessuto fine[1].
 
 
Una Panoramica che porta a un’oasi

Nel distretto biellese sono operative diverse imprese con una straordinaria reputazione internazionale e tra queste, leader globale nel settore dell’abbigliamento maschile di lusso, è il Gruppo Ermenegildo Zegna, con 1,270 miliardi di euro di fatturato nel 2013 (fonte: Sole24ore), un’apertura ai mercati mondiali e una politica, a partire dagli anni ’90, fondata su strategie di brand extension, con prodotti quali profumi, cravatte, occhiali, calzature, intimo.
Un marchio che risale alla seconda metà del XIX secolo, quando Angelo Zegna, orologiaio, aprì il lanificio che Ermenegildo Zegna (1892-1966), ultimogenito, fece diventare – con spirito pionieristico nell’apertura al mondo - una delle più celebri e dinamiche aziende italiane, puntando su bellezza, innovazione e qualità.
Un imprenditore filantropo che comprese come un ambiente positivo per chi vi lavorava potesse essere di beneficio per l’azienda, che investì sul proprio territorio, nelle Alpi biellesi, reinvestendo il profitto a beneficio della comunità creando a Trivero, negli anni ’30, una sala convegni, una biblioteca, una palestra, un cinema/teatro, una piscina pubblica, un centro medico e una scuola materna.
Non solo. Fece mettere a dimora mezzo milione di conifere costruendo la «Panoramica Zegna», una strada di 14 chilometri che collega Trivero e la stazione turistica di Bielmonte, convinto che tutela e valorizzazione del territorio e responsabilità sociale andassero di pari passo.
Un progetto portato avanti con costanza dalla Fondazione Zegna, nata nel 2000 perseguendo, nel ricordo dell'opera di Ermenegildo Zegna, quattro aree di attività: conservazione e valorizzazione delle risorse ambientali e culturali, abbracciando l’arte, la musica, il teatro,  promozione dello sviluppo sostenibile nelle comunità locali, supporto alla ricerca medica e scientifica, educazione e apprendistato per i giovani.
 
Oggi la Fondazione Zegna, che come l’azienda mantiene una gestione familiare - la guida Anna Zegna[2], Presidente, insieme a Renata Zegna, Vicepresidente, con un Consiglio di Amministrazione che vede la partecipazione degli altri membri della famiglia – segue l’ attività filantropica sia con progetti propri, sia collaborando con diverse organizzazioni no-profit, coerentemente con le aree di intervento, per «promuovere e condividere, perché – come afferma Anna Zegna – le aziende non producono solo cose, ma pensieri, sensibilità e relazioni».
 
Una lungimiranza e una sensibilità che oggi viene custodita e fatta crescere dagli eredi nel Gruppo attraverso l’Oasi, parco naturale che si estende per circa 100 Km2 tra Trivero e la Valle Cervo e che nasce nel 1993 come naturale sviluppo del «pensiero verde» di Ermenegildo, attraverso il connubio arte e moda, attraverso la pluriennale collaborazione Michelangelo Pistoletto e Cittadellarte all’insegna di una trasformazione sociale a base culturale, attraverso ZegnArt, la piattaforma che raccoglie tutte le attività del Gruppo nell’ambito dell’arte contemporanea e infine, attraverso «All’Aperto».
Altri progetti promossi dalla Fondazione sono: Oceana, per aiutare a monitorare i parametri di evoluzione dell’ecosistema sottomarino e salvaguardare il mare; Care & Share, per migliorare la qualità di vita delle persone particolarmente svantaggiate delle comunità indiane attraverso progetti che incoraggiano l’autosufficienza e per fornire cure ed educazione ai bambini indiani in difficoltà; Zegna & Music, per incoraggiare l’educazione e la formazione fornendo opportunità di studio e promuovere la musica e i suoi valori.
 
 
All’aperto: l’arte che produce i luoghi
Il progetto «All’Aperto», a cura di Andrea Zegna e Barbara Casavecchia, nasce nel 2008 su questi presupposti, per rendere più fruibili i valori dell’arte contemporanea attraverso opere contest-specific nel territorio di Trivero, realizzate da grandi artisti di fama internazionale chiamati a confrontarsi con le specificità, con la natura circostante.
Sono passati nel tempo per le vie della cittadina biellese Alberto Garutti, Stefano Arienti, Roman Signer, Dan Graham, Marcello Maloberti ma ad inaugurare il progetto fu colui che gli spazi sa costruirli anche col vento: Daniel Buren.
Ora un libro edito da Mousse – «Daniel Buren. Texile works» – racconta, la genesi di una relazione che ha avviato un processo che pone l’arte al centro delle comunità, fuori dal clamore delle grandi città, oltre la spettacolarizzazione, per andare a ri-semantizzare i luoghi, creando architetture spazio-temporali e nuovi immaginari.
 
In una lunga conversazione con Barbara Casavecchia e Vincent Honoré (curatore della David Roberts Art Foundation di Londra), l’artista racconta l’opera che segna il debutto di «All’Aperto»: le banderuole colorate, lavoro in situ che ha incorniciato le terrazze panoramiche del Lanificio Zegna con un arcobaleno di bandiere di sette tonalità diverse, che per effetto ottico sembrano fondersi in un unico colore.
Anche a Trivero Buren utilizza un pattern a strisce, quell’«outil visuel» che contraddistingue la sua arte dagli anni ’60 e che è al contempo negazione e costruzione dello spazio, riferendosi al contesto come uno spazio percettivo e quindi mutevole. Uno spazio aperto a libere possibilità di uso da parte del pubblico.
«La scommessa non è produrre un oggetto, ma un luogo» diceva in un’intervista del ’99 a proposito di Les deux plateaux, nel cortile del Palazzo Reale di Parigi. Una scommessa tanto più attuale se l’opera si inserisce in un contesto che si contamina con il paesaggio naturale come Trivero modificandolo permanentemente. 135 bandiere 150x300cm tra il verde e l’azzurro sono andate ad abitare il perimetro delle terrazze del lanificio trasformando la severa architettura industriale in una leggera «nave pronta a partire» - così è stata definita da un triverese – dando visibilità all’invisibile mostrando il vento.
 
 
Prima e dopo
Ripercorrere la storia artistica di Daniel Buren, a partire dall’esperienza di Trivero, fa emergere due concetti fondamentali tanto per l’artista che si situa nello spazio pubblico, tanto per l’imprenditore che opera nei territori: l’ascolto e la responsabilità.
 
Tanto l’artista francese quanto coloro che hanno partecipato alle differenti edizioni di «All’Aperto» che si sono succedute nel tempo, come Ermenegildo Zegna hanno saputo ascoltare l’esistente e con grande responsabilità, nel suo significato originario di «risposta», non data però dal semplice rapporto causa-effetto ma da una presa di consapevolezza di ogni situazione particolare, hanno saputo dare una «risposta d'azione», una restituzione al contesto, alle comunità di quanto si è ricevuto.
Questa risposta, questa adesione alla realtà per trasformarla, contraddistingue la visionarietà di figure tanto illuminate quanto oggi sempre più rare.
 
«..anche se non avviene ogni volta con la stessa intensità – dice Buren parlando della sua arte – l’ambizione consiste nel voler trasformare. La trasformazione è automaticamente una sorta di evento. Può essere molto forte o radicalmente altro rispetto ad una condizione precedente, oppure può essere molto sottile. La volontà di trasformare è sempre presente. Così, se ci spingiamo più in là, la questione assume un aspetto molto romantico, cosa strana ai giorni nostri perché non c’è più tanta gente disposta a crederci. Un tempo c’era comunque anche l’idea di trasformare il mondo.
Ho sempre pensato che in un artista, un musicista, uno scrittore, un poeta, e anche in chi non è creatore, ma che magari adotta questa prospettiva nel proprio quotidiano, soprattutto se non condivide la società nella quale vive, c'è sempre una volontà, un desiderio di trasformare quella realtà. E d'altronde, questa è la forza di quei pochi che si possono definire inventori, che almeno trasformano quel poco di mondo in cui si trovano in qualcosa che magari non è migliore, ma sicuramente è qualcosa di diverso.
C’è un arte prima e dopo Mondian, un'arte prima e dopo Pollock. Questi grandi artisti, forse non in vita, ma dieci o vent’anni anni, hanno chiuso per sempre porte aprendone altre».
 
Ugualmente c’è un’impresa prima e dopo Ermenegildo Zegna, prima e dopo Adriano Olivetti e pochi altri. Porte chiuse che in una modernità fluida fondata sull’hic et nunc e sulla sperequazione, stentano a riaprirsi con la stessa visionarietà.
Ma oggi, anche le porte sul mondo, vanno aperte con cautela perché spesso sono solo una via di fuga, detta anche «delocalizzazione antisindacale» in paesi con un mercato del lavoro a basso costo.
E galeotta fu la Turchia anche per il Gruppo Zegna, che come altri big del «made in Italy» ha scelto l’Asia come «salvagente», ma non senza polemiche. In Turchia nel 2012, IndustriALL Global Union, la confederazione internazionale dei sindacati , denuncia nello stabilimento di Tuzla della Ismaco, società controllata dal Gruppo Zegna, forti pressioni contro la sindacalizzazione e il licenziamento di quattro lavoratori. A ben guardare, anche le porte sul mondo, come le medaglie, hanno due facce.
 
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[1] L’industria della moda in Piemonte tra creatività e innovazione, Rapporto Unioncamere Piemonte, 2013
[2] Anna Zegna. Presidente Fondazione Zegna, Trivero. Nasce a Trivero nel 1957. Dal 1995 è Direttore Immagine del gruppo Ermenegildo Zegna. È membro della direzione del FAI ed è stata vicepresidente della Camera Nazionale della Moda Italiana dal 2010 al 2013. È Presidente della Fondazione Zegna, la cui missione è mantenere vivi i valori derivanti dalla filosofia del fondatore, Ermenegildo: impegno morale per migliorare la qualità di vita dei singoli individui e delle comunità salvaguardando l’ambiente, promuovendo la cultura, sviluppando il potenziale delle persone e supportando la ricerca medica e scientifica, coniugando dimensione locale e mondiale. Fonte: Rapporto Annuale Fondazioni 2013/14, Allemandi & co.