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BREXIT: CATASTROFE ANNUNCIATA CHE SAREBBE POTUTA SUCCEDERE ANCHE ALTROVE

  • Pubblicato il: 01/07/2016 - 09:58
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Anna Detheridge

Il 23 giugno rimarrà nella memoria di tutti come  un giorno triste per l’Europa, destabilizzante per il suo futuro, ma ancor di più per la Gran Bretagna, che si risveglia all’indomani del disgraziatissimo referendum popolare per ritrovarsi in un mare di contraddizioni e di conflittualità che rivelano tutta la fragilità e le debolezze oggi tipiche di molte società contemporanee

 Brexit rappresenta innanzitutto una tragica nemesi storica nei confronti di milioni di persone che soltanto due generazioni fa hanno sacrificato la vita per una Europa libera, oggi additata come nemica da combattere, come si fosse tuttora in presenza della follia collettiva di un imperialismo rampante con tutti i suoi orrori, simboli, razzismo e ingiustizia.
La strumentalizzazione di quella memoria travisata e tradita, nel suo senso più profondo, è responsabilità di una classe dirigente educata nelle migliori università britanniche, che non ha saputo prevedere le conseguenze delle proprie azioni ed ambizioni. Il referendum è stato uno strumento nelle mani di chi ha voluto compiere una scalata al potere costi quel che costi, una lotta tutta all’interno del partito conservatore oggi spaccato a metà. Ma il comportamento dell’opposizione è stato ancor più opaco sotto la leadership di Jeremy Corbyn che per dimostrare la propria indifferenza è partito in vacanza proprio nel mezzo della campagna referendaria.
Se si vuole cercare davvero di capire qualcosa di questa amara vicenda bisogna guardare un po’ più da vicino sia l’Inghilterra di oggi, sia ciò che l’Europa e in generale le nostre società sono diventate. La campagna per il Brexit, come hanno commentato in molti, è stata la più lurida e scorretta a memoria della civilissima Inghilterra, con accenti di demagogia pura provenienti non dal popolo, ma da colti esponenti del partito conservatore alleatosi ai peggiori populisti e razzisti dell’Ukip. I paragoni tra la Germania di oggi e quella nazista si sono sprecati nelle dichiarazioni pubbliche di alti dirigenti del Partito conservatore; si è dato libertà di circolazione alle più improbabili delle statistiche, vere e proprie menzogne riguardo all’Unione Europea e i suoi presunti “costi”. Michael Gove, (ex) amico di Cameron, Segretario per la Giustizia ha paragonato i 100 economisti che si sono pronunciati contro Brexit con i 100 scienziati che la Germania nazista schierò per confutare le teorie di Einstein.
Nella patria della libertà di stampa oggi fa grandi affari un’industria mediatica che gli inglesi stessi definiscono “gutter press”, quella di Murdoch per intenderci, che per volgarità e spregiudicatezza non è seconda a nessuno. Questa stampa ha avuto una parte importante nel costruire un’opinione pubblica sempre meno informata e più irresponsabile e infantile.
 
Nicholas Farrage leader razzista nella campagna per il no si faceva fotografare sullo sfondo di un manifesto delle bianche scogliere di Dover con una scala mobile al centro, pronosticando una immigrazione incontrollata dal continente. Le sue prime dichiarazioni dopo Brexit prevedono l’imminente disgregazione dell’Europa. Con ogni probabilità, se di disgregazione si tratterà, la prima a disfarsi sull’onda della rabbia dei Paesi membri, la Scozia in testa sarà proprio il Regno Unito.
E’ singolare come la Storia possa diventare strumento del peggior populismo e in fondo quanto siano fragili gli strumenti in mano alla Democrazia per difendersi da chi approfitta delle sue istituzioni per appropriarsene. In nome dei più altisonanti valori patriotici di sovranità contro il nemico (la UE!) si è evocato impunemente lo spauracchio della Germania nazista. Ma il Brexit è in fondo soltanto il capitolo finale di una lunga serie di errori protratti nel tempo, di una mancanza di leadership, e di un piegarsi della classe politica in generale di fronte alle pretese spesso irrealistiche di cittadini/clienti, dimentichi di diritti/doveri, da tener buoni ad ogni costo, con le più ipocrite delle promesse. Un fenomeno osservabile in molti Paesi del mondo.
 
Le colpe dell’Europa sono immense, ma i fattori determinanti non sono tanto le manchevolezze della odiatissima burocrazia, quanto quelle dei singoli Paesi nei suoi confronti. L’Europa non è affatto quella delle famigerate multinazionali. Chissà come mai i populismi sia di destra sia di sinistra siano così spesso d’accordo nel dare tutte le colpe alle corporations, non certo senza peccati ma facili capri espiatori, per tutti i nostri mali. La complessità e la concatenazione di interessi e conseguenze nel mondo globalizzato sfugge ai più, soprattutto a chi non riesce o non vuole guardarci dentro, preferendo per ovvi motivi gli slogan alla lucida analisi dei fenomeni che non sono mai decifrabili in isolamento. Ed è esattamente per questo motivo che la democrazia diretta diventa facilmente l’egemonia del grande numero, soltanto la più recente forma di populismo tra i populismi.
L’Europa è anche quella che a dispetto delle dichiarazioni di Michael Gove (“riprendiamoci i soldi che regaliamo all’Unione Europea”) dispensa molto denaro per la ricerca scientifica, per le università, per i progetti di cooperazione e per la Cultura. Senza scambi culturali e progetti comuni in tutti gli ambiti del sapere, molte aree depresse dell’Europa, comprese quelle della Gran Bretagna avrebbero università e istituzioni molto meno floride e territori tuttora in abbandono. In Italia dove né i comuni né lo Stato hanno più un soldo per la cultura, le uniche risorse disponibili per la progettualità e gli scambi culturali provengono dall’Europa. Ma se i cittadini non sono consapevoli di questo, è anche colpa delle istituzioni che hanno incassato contenti di incassare, senza mai dover ringraziare. E una più stretta collaborazione a costruire una vera unità culturale potrà esserci soltanto se gli Stati lo vorranno.
Un esempio: i recenti festeggiamenti per ricordare quella immensa tragedia collettiva che è stata la Prima Guerra Mondiale, la 14-18. Occasione sprecata per confrontarsi e per rivedere le storie nazionali aprendosi a una narrazione più veritiera, europea, che prenda in considerazione il costo sociale per i popoli di una simile follia, che rendesse finalmente onore al vissuto di tutte le popolazioni. Un modo non demagogico per celebrare l’Europa, per porre le basi di una storia condivisa. Nulla di tutto ciò! Perché questo anniversario così doloroso è stato ricordato da ogni Paese senza un pur minimo accenno ad una tragedia collettiva da ripensare? La Gran Bretagna ha celebrato la ricorrenza con un immenso gesto di cordoglio nazionale rendendo onore ai Paesi del Commonwealth con un’opera d’arte pubblica che ha versato un mare rosso di poppies di ceramica nel fossato della Torre di Londra. Un evento spettacolare ma all’insegna di un patriottismo anacronistico che ha totalmente ignorato il dolore e il confronto con i territori dall’altra parte della Manica, dove sono sepolti milioni di uomini tutti morti giovanissimi, compreso il figlio adorato del grande poeta e patriota Rudyard Kipling.
La separazione dall’Europa sottovalutata nelle sue conseguenze economiche ma anche identitarie è già un rimorso per molti che l’hanno votata. Auguriamoci che la faciloneria e la pessima politica che hanno portato a questo risultato possano far riflettere sui reali legami da rivedere e rinegoziare quanto si vuole, senza tuttavia rinnegare una comune storia e appartenenza.