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Aspettando ArtLab 15: Beni Pubblici patrimoniali: Valore economico o valore d’uso?

  • Pubblicato il: 15/07/2015 - 20:52
Autore/i: 
Rubrica: 
WAITING FOR ARTLAB
Articolo a cura di: 
Franco Milella

Patrimonio pubblico disponibile e patrimonio culturale e paesaggistico necessitano di processi straordinari di innovazione negli approcci alle valorizzazioni possibili, di integrazione e modificazione degli apparati legislativi e normativi di riferimento, di liberazione di risorse. Un articolo di Franco Milella su "Patrimonio Pubblico, valorizzazione e innovazione" uno dei temi centrali di ArtLab 15 l'evento di Fondazione Fitzcarraldo che anche quest'anno torna a Lecce dal 23 al 26 settembre con un focus su cultura, territori, innovazione
 

«d’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda»
Italo Calvino, Le città invisibili

L’Italia è tra i Paesi aderenti all’Unione Europea quello che espone il Patrimonio pubblico immobiliare, nella disponibilità degli enti locali, di maggior valore.
Il valore stimato si attesta infatti sui 400 miliardi di euro circa contro gli 80 della Francia, mentre nei 410 del Regno Unito e nei 278 della Germania sono calcolati anche i patrimoni statali[1].
Una stima suscettibile di ampi margini di oscillazione: sono ancora incomplete, infatti, le attività avviate nel 2007 e rafforzate dal 2010 in poi, in ragione  dell’esordio delle politiche di spending rewiew più “strutturate” e del cosiddetto Federalismo demaniale, di ricognizione e accertamento del valore dei cespiti, anche per la lentezza e le logiche di adesione volontaria a tali attività alle quali hanno risposto, ad oggi, poco meno del 50% dei Comuni italiani, per un valore patrimoniale di circa 277 miliardi di euro.
 
Nonostante le politiche dismissive del patrimonio pubblico italiano collochino il nostro Paese al secondo posto in Europa, come capacità di mobilizzazione dei valori patrimoniali[2], resta evidente una vasta disponibilità di beni patrimoniali che restano sottoutilizzati o, spesso, in stato di abbandono. A prezzi correnti, il fabbisogno finanziario annuale per garantire l’ordinaria manutenzione dei beni immobiliari pubblici disponibili degli Enti Locali può stimarsi in circa 1,2 Miliardi di euro annui. Questo significa che, per mantenere inalterato il valore economico del patrimonio pubblico “disponibile” dei Comuni, occorrerebbero stanziamenti, nei loro bilanci ordinari, assolutamente “indisponibili”, tanto per usare un gioco di parole, nell’epoca del tagli ai trasferimenti ordinari, del Patto di Stabilità e della Spending Rewiew.
 
Esiste dunque un problema strategico nazionale di mantenimento e valorizzazione del patrimonio pubblico disponibile dei Comuni italiani, che risulta inevaso nonostante il successo operativo degli attori di riferimento che se ne occupano, in primis di Agenzia del Demanio.
Il punto è che, al di là della congiuntura sfavorevole[3], la grande parte dei beni pubblici immobiliari italiani non ha requisiti di appetibilità di mercato e non appare  suscettibile di approcci dismissivi, costituendo più un fronte di problemi che di opportunità se interpretata esclusivamente nel quadro logico del suo valore economico di vendita potenziale.
 
I’Italia, come più volte ribadito, ha inoltre il primato mondiale di concentrazione di beni del patrimonio culturale ambientale pubblico, tipicamente indisponibile e sicuramente sottratto a declinazioni di valore esclusivamente economio-patrimoniale. Buona parte di questi beni sono nei patrimoni degli enti locali e costituiscono, nella loro estensione e diffusione, la densità e la specificità tutta italiana della identità Culturale diffusa e della Storia del Paese. Le difficoltà di restituirli alla semplice pubblica fruizione ne genera una devastante condizione di abbandono e decontestualizzazione del loro valore in tutte le accezioni, anche in quella economica, oltre che costituire piuttosto che fattori di potenziale sviluppo e coesione, su scala urbana e/o territoriale, elementi detrattori, di vuoto urbano, di coesione negata, cesura identitaria delle Comunità.
 
In entrambi i casi, patrimonio pubblico disponibile e patrimonio culturale e paesaggistico, afferenti agli Enti locali italiani, appare urgente l’innesco di processi straordinari di innovazione negli approcci alle valorizzazioni possibili, di integrazione e modificazione degli apparati legislativi e normativi di riferimento, di dotazione esemplare di strumenti e condizioni operative oggi non disponibili, di liberazione di risorse.
Quale direzione intraprendere? Immagino che l’unica possibile sia quella di abbandonare la stretta via, fortemente ideologica, di valutare il patrimonio pubblico esclusivamente secondo l’approccio della mobilizzazione dei valori economico-patrimoniali, in una semplificazione binaria del tipo “ si può vendere? SI /NO” (l’unica, o almeno la prevalente, che sembra oggi ispirare le politiche di spending rewiew nazionali) e ridare centralità al principio dell’interesse pubblico nei processi di valorizzazione e quindi al Valore d’uso dei beni pubblici.
 
Proprio forse in virtù della peculiarità delle concentrazioni dei patrimoni nel nostro Paese, in Italia, più che nel resto d’Europa, è diffusa la presenza di attori dell’economia sociale  e della cultura, con particolare e spiccato protagonismo di energie giovanili, ricche spesso di talento e competenza, che  nelle forme più diverse di aggregazione (associazioni culturali e sociali, onlus, cooperative, società, gruppi informali) producono densità e esperienze, spesso di grande valore, che  sono accomunate dal paradigma dell’innovazione sociale e culturale delle comunità urbane e territoriali, in particolar modo nelle città grandi e medie d’Italia.
E’ un fenomeno ampio, spesso sostenuto, ma con difficoltà di ogni genere – normative, tecniche ed economico-finanziarie,  dai governi locali dei Comuni italiani con la prospettiva di sostenere l’integrazione delle risorse espresse dalle giovani generazioni e supplire, nell’epoca della crisi, alla deflagrazione dei sistemi di welfare e delle politiche pubbliche nazionali ora meno centrate sui valori delle Comunità urbane.
In Italia, più che nel resto d’Europa, questa dinamica di supplenza fa emergere casi di assoluta eccellenza e garantisce resilienza nelle comunità locali agli effetti della crisi sociale ed economica e ai cambiamenti che esso genera.
Non solo, la presenza di queste esperienze sta modificando gli stessi paradigmi della produzione e fruizione culturale, produce innovazione sociale, e richiede attenzione e nuove prospettive di contesto operativo per essere fino in fondo generative.
In molti casi, costituiscono leva di valorizzazione a tutto tondo di beni del patrimonio pubblico disponibile dei Comuni italiani costituendosi, spesso, tra le più rilevanti infrastrutturazioni sociali e culturale di valore nelle nostre città.
A queste esperienze in corso, che richiedono nuovi paradigmi interpretativi e nuovi strumenti d’uso e regole d’ingaggio per il loro sostegno, si aggiunge l’urgenza di modificare i processi di valorizzazione dei Beni Culturali in senso stretto anche e soprattutto per i beni impropriamente definiti come minori.
Il combinato disposto degli artt. 112, 115 e 117 del Codice dei Beni Culturali, peraltro, mostra evidenti segni della necessità di riforma poiché, per semplificazione e storia pregressa, normalmente i processi di valorizzazione attivabili e “autorizzabili” sono costretti nei limiti dei cosiddetti “Servizi Aggiuntivi”[4] la cui stretta declaratoria sembra essere ampiamente insufficiente a garantire persino la copertura normale dei costi del loro esercizio.
 
I processi di valorizzazione dei beni culturali minori possono e devono  assumere il valore d’uso della contemporaneità, costituire leva generativa di emersione di talento e coesione sociale, manifestare a pieno titolo il contributo possibile che possono dare alla crescita economica e sociale del Paese anche e soprattutto per il valore delle “esternalità positive” e quindi degli impatti  che possono essere generati dall’utilizzo flessibile di questi beni.
Invece, la prevalenza, nelle logiche della spending rewiew, del valore dismissivo di mercato, pure non applicabile ai Beni culturali, e che nonostante gli importanti risultati diretti mette da parte la parte più consistente dei patrimoni pubblici, ha ulteriormente rinforzato  un approccio “puntuale” del concetto di sostenibilità dei “valori” dei beni culturali e ambientali che pretende il perseguimento di obiettivi/feticcio di sostenibilità economica di progetti di  fruizione e di valorizzazione[5], anche per i beni culturali ed ambientali minori,  dimenticando la capacità generativa di crescita economica e di coesione sociale nei contesti in cui esistono beni culturali gestiti e fruiti, come chiaramente indicato in un recente progetto di risoluzione del Parlamento Europeo[6].
 
La valorizzazione del Patrimonio pubblico italiano è un tema d’interesse generale la cui finalità pubblica è data dal banale “fallimento del mercato” e dalla scarsa appetibilità diretta di soggetti prettamente imprenditoriali e farne occasione di propria redditività. Occorre definire nuovi parametri che rispettino il valore sociale e di sperimentazione che sono incorporati o incorporabili nei beni di patrimonio pubblico rigenerati. Questo richiederà ancora intervento di risorse pubbliche, mirate, contenute, ma soprattutto l’articolazione attenta di azioni pubbliche volte a favorire la definizione di contesti territoriali di successo, l’abbattimento di costi (compreso i costi di transazione e regolazione) e il miglioramento delle condizioni di analisi delle proposte di valorizzazione e delle progettazioni.
 
Su questi temi, la Fondazione Fitzcarraldo sta operando da tempo e ha lanciato, insieme a Fondazione con il Sud,  l’apertura di un tavolo operativo di riflessione e proposte nella prossima edizione di ArtLab 2015, che si svolgerà a Lecce tra il 23 e 26 settembre a Lecce.
 
Venerdì 25 al tavolo “Patrimonio Pubblico, Valorizzazione, Innovazione; Politiche, strategie, strumenti a sostegno dell’innovazione sociale e culturale” si incontreranno i principali attori nazionali, istituzionali, economici e sociali, che operano sui temi della valorizzazione del Patrimonio pubblico disponibile e di quello culturale, con l’impegno a definire proposte e azioni operative e individuare “pratiche pilota” per l’innovazione necessaria delle normative di riferimento e della strumentazione di sostegno,  anche nel quadro della programmazione del ciclo di Fondi Strutturali 2014-2020, dal PON Metro, al PON Cultura e Sviluppo, ai POR 2014-2020, utilizzabili per un sostegno di questi processi.
I risultati del lavoro saranno presentati in plenaria sabato 26 e successivamente a Palermo il 16 e 17 ottobre nell’ambito dell’incontro annuale di Fondazione con il Sud.
 

 
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[1] I processi di valorizzazione dei patrimoni pubblici – a cura di Scenari Immobiliari – Roma 2010
[2] considerando però anche le cessioni di patrimonio pubblico statale)
[3] Il biennio d’oro delle dismissioni in Europa è il 2007-2008, subito prima dell’avvento della crisi planetaria e del crollo dei valori immobiliari.
[4]  Art. 117 Cod dei beni culturali 
“…il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.”
[5] Si pensi agli equilibri finanziari interni dei Piani di Gestione quindicennali necessari per i progetti ricadenti nell’Accordo di Programma Quadro “rafforzato” Beni Culturali.
[6] “Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l'Europa (2014/2149(INI)”. In cui, tra l’altro, viene suggerito di aggiornare il sistema degli indicatori d’impatto nel ciclo di programmazione dei Fondi SIE 2014-2020 perché si misuri anche il vantaggio economico e sociale di contesto generato dai progetti di valorizzazione del patrimonio culturale ai fini delle verifiche di sostenibilità.