ArcheoFrame, per un’archeologia pubblica tra passato e presente
“L'archeologia, riportando alla luce i resti materiali della vita degli uomini di epoche lontane, contribuisce a trasformare il paesaggio e ad arricchire il nostro patrimonio culturale. Scoprire, recuperare e valorizzare un sito o un bene archeologico non significa soltanto far rivivere la memoria storica del nostro Paese. Interpretare ciò che resta del passato può stimolare la condivisione di culture e prospettive, assumere una funzione sociale vitale nel presente, a patto di confrontarsi con la comunità di riferimento, con il pubblico. Un’archeologia non più e soltanto per addetti ai lavori, ma che si cala nel contesto attuale, interagendo con la vita quotidiana.” E’ questo lo spirito con cui da una decina di anni opera ArcheoFrame, il Laboratorio di Valorizzazione e Comunicazione dei Beni Archeologici dell’Università IULM di Milano. L’intervista al direttore Luca Peyronel ci permette di approfondire questa visione.
ArcheoFrame «svolge diverse attività didattiche, progettuali e di sperimentazione sulla valorizzazione, la comunicazione, la divulgazione e la fruizione dei Beni Archeologici in Italia e nei Paesi del Mediterraneo». Si configura così da un lato come attività di ricerca nell’ambito della valorizzazione, dall’altro come realizzazione di prodotti per conto terzi, in particolare amministrazioni pubbliche intenzionate a valorizzare parte del loro patrimonio storico-archeologico.
ArcheoFrame produce filmati e realizza prodotti multimediali, ha avviato progetti di catalogazione e documentazione fotografica dei siti archeologici del Mediterraneo, sviluppa progetti di valorizzazione e promozione di musei e aree archeologiche, avvalendosi oltre che di archeologi e storici dell’arte, di professionisti e tecnici nei settori delle Scienze della Comunicazione, dell’Economia della Cultura, delle Scienze Turistiche, delle Relazioni Pubbliche. La sua attività è caratterizzata da interdisciplinarietà e multidisciplinarietà, da versatilità e specificità delle persone che compongono il team di progetto.
«Il laboratorio nasce nel 2007 come parte del corso di archeologia della laurea magistrale «arti, patrimoni e mercati» - racconta Peyronel “siamo partiti con documentari costruiti con gli studenti, dalla struttura alla sceneggiatura, dai sopralluoghi nei siti alle riprese, realizzando dei primi prodotti in Lombardia in collaborazione con l’allora Soprintendenza archeologica. L’idea era di creare una sorta di laboratorio di sperimentazione didattica sui temi della comunicazione e valorizzazione del patrimonio archeologico, che potesse elaborare nuovi strumenti di comunicazione multimediale. Nell’arco di due anni è diventata una vera e propria attività di ricerca applicata dell’Università».
Tra i primi lavori quello sui villaggi palafitticoli del lago di Garda, grazie al sostegno del Comune di Desenzano che - insieme a due altri comuni del bresciano, Gavardo e Polpenazze – commissiona un documentario sui siti che, tra il III e il II millennio a.C., caratterizzavano i bacini lacustri nell’area gardesana, e che dal 2011 sono iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. A tale scopo ArcheoFrame realizza un filmato che da un lato testimonia le ricerche condotte nelle torbiere delle colline moreniche o nelle acque del lago da parte di archeologi, geologi, paleobotanici, zooarcheologi, palinologi e archeometri, dall’altro mette in luce l’interazione fra uomo e ambiente nell’età del Bronzo e ricostruisce il paesaggio storico di questi antichissimi villaggi.
Le incisioni rupestri della Val Camonica, primo sito italiano riconosciuto dall’Unesco nel 1979, sono contenuto di un altro prodotto multimediale commissionato dalla Comunità Montana e dal Distretto Culturale di Valle Camonica. Attraverso cinque clip video con interviste a personalità che si occupano della ricerca, della tutela e della valorizzazione della vallata, viene ricostruita l’identità culturale di questo territorio nel corso del tempo offrendo uno spaccato delle tappe dell’evoluzione umana e ponendo l’accento sulle profonde interrelazioni che da sempre sussistono fra uomo e territorio.
I lavori del Laboratorio sono stati presentati in diverse università, musei e parchi archeologici, alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano, a MiART, a festival internazionali di documentaristica dei Beni Culturali, alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, al Touring Club Italiano e in occasione di convegni e conferenze.
Nel 2013 il documentario L’Italia dei Longobardi prodotto per l’Associazione Italia Langobardorum vince il premio «Città di Rovereto-Archeologia Viva» alla XXIV Edizione della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto e il premio della giuria durante l’XI Edizione del Festival del Cinema Archeologico di Agrigento.
Qual è lo spirito guida della vostra attività?
L’idea che da sempre portiamo avanti, oltre alla necessità di comunicare il patrimonio e di farlo conoscere attraverso metodi e strumenti appropriati, si fonda su un settore della disciplina che, fortemente sviluppato soprattutto nel mondo anglo-sassone, sta prendendo sempre più forma anche da noi: quello dell’«archeologia pubblica», che orienta la ricerca attraverso una riflessione teorica sul rapporto con il contesto socioeconomico, politico e culturale, determinando scelte specifiche di pratica archeologica.
Ci siamo sempre mossi cercando di capire l’impatto che l’archeologia può avere nei grandi contesti urbani, nella trasformazione del paesaggio e nel vissuto della comunità locale. Ciò comporta la necessità di svolgere un lavoro importante con i referenti locali ed entrare sempre più in contatto con il pubblico, per non limitarsi alla sola ricostruzione del passato ma per capire cosa una comunità si aspetta e vuole dal proprio patrimonio storico-archeologico.
E lo si può fare tramite dei processi partecipati. Il pubblico dev’essere coinvolto nello stesso sviluppo di ricerca, per non parlare della valorizzazione. In questo modo noi assumiamo anche una funzione rilevante di «facilitatori-mediatori del passato», cercando di costruire una relazione biunivoca tra professionisti del settore e cittadini.
Il primo postulato-chiave su cui si fonda la nostra attività è il diritto di poter ’conoscere’, ‘comprendere’ e ‘godere’ del patrimonio archeologico, ma senz’altro, in termini più generali, l’eredità culturale non può che fondarsi su processi condivisi.
Il secondo è la tensione tra locale e globale, ossia la possibilità di mettere a disposizione il patrimonio storico e archeologico a livello locale ma anche, attraverso le opportunità offerte dalla rete, di raggiungere un livello globale.
Quale ruolo deve avere la tecnologia nel processo di valorizzazione del patrimonio archeologico?
La tecnologia gioca un ruolo decisivo nell’aiutare la ricostruzione di un sito archeologico, oggi abbiamo a disposizione strumenti eccezionali per fare la ricerca sul campo: con tempi brevi e con costi relativamente ridotti possiamo ottenere risultati fino a poco tempo fa impensabili. Basti pensare che in mezza giornata è possibile avere un modello tridimensionale di un sito archeologico grazie all’utilizzo del drone, rispetto a prima quando si dovevano fare ricostruzioni topografiche.
Dal punto di vista della valorizzazione, offrendo la possibilità di ricostruzioni di realtà aumentata e di muoversi in ambienti virtuali in un contesto del passato, la tecnologia è lo strumento essenziale per poter comunicare al meglio. In un futuro che già è alle porte il pubblico potrà interagire sempre di più con il sito, muovendosi tra il virtuale, che ripropone il ‘contesto’ antico, e il reale, dove comunque la relazione ‘fisica’ con i resti riportati alla luce deve rimanere fondamentale.
Quali professionalità occorre necessariamente mettere in campo?
È sempre più importante formare a livello universitario delle nuove professionalità in grado di coniugare la conoscenza dei luoghi (storia, archeologia, etc.), le competenze tecniche, la capacità di sapere raccontare i luoghi, la comunicazione.
Lo storytelling gioca un ruolo fondamentale purché basato su conoscenze storiche e scientifiche valide. Nell’ultimo anno abbiamo sperimentato una nuova modalità di narrazione. Si tratta del «Racconto dei luoghi» all’interno del progetto «Teatri Antichi. Nostri Contemporanei», promosso all’impresa sociale Q Academy con il patrocinio della Fondazione Inda, finalizzato alla valorizzazione di alcuni teatri e aree archeologiche attraverso momenti di spettacolo. La collaborazione di ArcheoFrame ha riguardato la redazione di testi narrativi interpretati da un attore che hanno fatto conoscere le vicende storiche di sei siti archeologici: non la semplice lettura di una guida turistica, ma una rilettura dei luoghi al fine di coinvolgere i fruitori da un punto di vista emotivo. Coniugando il rispetto per i classici e l’accuratezza filologica a tecniche narrative proprie dello storytelling, il pubblico non è solo invitato a visitare lo spazio in cui si trova, ma a viverlo con trasporto e a conoscerne meglio la storia attraverso le storie raccontate dal Racconto dei Luoghi.
Tornando alle professionalità, restano poi le équipe di gestione di un’area archeologica, ossia le competenze legate al management.
In questo senso la Riforma Franceschini ha innestato innovazione con la creazione di una serie di poli museali e di parchi archeologici autonomi, che gioco forza richiedono competenze in grado di gestire i siti.
Quali risorse e quali soggetti sostengono la vostra attività?
Normalmente per gli scavi archeologici si opera attraverso i fondi della propria istituzione universitaria di appartenenza e del MiUR, mentre per progetti all’estero vi sono contributi del MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale).
Per i progetti di valorizzazione, sono gli enti locali e regioni, anche usufruendo di fondi europei, che sostengono i nostri progetti.
Il MiBACT ha sostenuto alcune nostre attività, ad esempio attraverso la «Legge 77/2006. Misure di tutela e fruizione dei siti Unesco» (1) o attraverso progetti speciali come nel caso di «Teatri Antichi. Nostri Contemporanei».
Anche il settore privato ha un ruolo importante, finanziando interventi di conservazione, restauro e valorizzazione del patrimonio storico-archeologico. Penso in particolare alle fondazioni bancarie che sostengono attraverso bandi progetti di valorizzazione [vedi ad esempio i bandi di Compagnia di San Paolo - Valorizzazione Patrimoni Culturali – e Fondazione Cariplo – Partecipazione Culturale – che includono anche le aree archeologiche, n.d.r]
Che impatto hanno avuto i vostri progetti?
Cito tre progetti di ricerca applicata diversi tra loro.
Il primo riguarda il Parco della valle dei templi di Agrigento. Abbiamo realizzato la pannellistica e i percorsi di visita del parco, prestando attenzione alla grafica coordinata, utilizzando dei testi su cui abbiamo lavorato molto nell’ottica della comprensibilità del linguaggio, passando dal dato scientifico alla resa finale del testo scritto in lingua italiana, francese e inglese. Abbiamo potuto testare questa nuova modalità di informazione attraverso il riscontro dei visitatori.
Un altro è la collaborazione con RaiStoria, nella realizzazione di una serie di puntate del programma «Italia. Viaggio nella bellezza». In questo caso la valutazione dell’impatto è avvenuta da parte della Rai che ha potuto constatare come i documentari abbiano avuto un eccellente riscontro in termini di ascolto, e anche in termini di ricadute sul territorio: grande attenzione delle comunità locali rispetto ai luoghi archeologici che si raccontavano, una gran voglia di mettersi in contatto con il proprio passato e con la storia di questi luoghi.
Un terzo progetto, «Via Gallica», è stato realizzato in Lombardia: un itinerario che partiva da Como per arrivare sul lago di Garda costituito da trentina di tappe, maggiori e minori, che toccavano i luoghi messi in collegamento e comunicati attraverso un App (scaricabile gratuitamente da http://www.viagallica.it/). Siamo andati a presentare i vari luoghi, abbiamo avuto modo di verificare l’impatto del progetto sia attraverso la partecipazione dei visitatori che attraverso gli scaricamenti dei contenuti della App.
Cosa è cambiato da quando avete cominciato dal 2007 a oggi?
Questi dieci anni hanno visto una forte evoluzione. Un grande cambiamento è stato conseguente alla Riforma, i nuovi assetti della gestione e dell’organizzazione che hanno toccato anche i beni archeologici hanno messo in moto dei processi, non senza dibattito critico e frizioni tra gestori e ministero.
Al di là di questo cambiamento «strutturale», quello che abbiamo potuto osservare è la crescita dell’attenzione all’interno delle università alle tematiche della valorizzazione. Contestualmente è aumentata la richiesta da parte del pubblico di conoscenza nell’ambito della storia e dell’archeologia: dall’aumento degli ascolti di programmi televisivi dedicati a questi temi, al successo di pubblico di conferenze che parlano di archeologia, alla maggiore attenzione delle amministrazioni locali a mettere in campo nuove modalità di valorizzazione. Non ultimo, l’evoluzione del mondo delle professionalità connesse ai beni culturali, e di cui si è parlato prima, i cui profili abbracciano diverse discipline e competenze che prima erano distinte e separate.
Per contro stiamo assistendo anche a cambiamenti drammatici. La crisi profondissima del Medio Oriente, dove conduco indagini archeologiche e progetti di ricerca, pone problematiche ben più complesse come per esempio riuscire a interagire con le comunità locali per far capire loro l’importanza della preservazione dei luoghi archeologici. Siti che vengono invece distrutti per distorte ideologie in nome di presunti principi religiosi, o divengono un luogo dove sfogare le proprie tensioni oppure oggetto di sistematici scavi clandestini.
L’Italia sta avendo una funzione importante nelle mappature dei luoghi a rischio in Medio Oriente, nel processo di ricostruzione. Siamo da sempre presenti in questi Paesi.
Quale dev’essere il ruolo dell’Europa?
L’Europa ha un ruolo fondamentale soprattutto nel garantire risorse economiche a progetti che mettono in connessione paesi diversi, con una ricaduta sia nel singolo paese che nella rete di relazioni.
Inoltre, può favorire alcuni processi innovativi, nell’ottica dell’allargamento del pubblico e dell’inclusione sociale. Ad esempio, ponendo attenzione alla fruizione dei beni culturali da parte di nuovi pubblici come i migranti.
L’Europa ha un ruolo chiave anche nella definizione di nuovi assetti del Mediterraneo conseguenti alla crisi del Medio Oriente. In questa direzione vi sono gli itinerari culturali riconosciuti dal Consiglio d’Europa.
Tra questi la Rotta dei Fenici, con cui collaboriamo da anni, attualmente l’unico itinerario riconosciuto che unisce Europa, Africa e Asia, proponendo progetti di eccellenza replicabili da un paese all’altro, mettendo in rete comuni, associazioni, operatori turistici, archeologi.
Cosa andrebbe rafforzato in un’ottica di valorizzazione delle aree archeologiche?
In primo luogo, è sempre più fondamentale «fare sistema» tra diversi enti: università, enti territoriali, ministero con le sue varie strutture decentrate o meno.
L’altro aspetto è capire come l’archeologia si relazioni con la società contemporanea e di conseguenza come il sistema universitario debba rivedere la propria offerta didattico-formativa rispetto a questa tendenza. In altre parole, occorre sempre di più un approccio trasversale che guardi al rapporto tra archeologia e mondo contemporaneo, superando l’ottica tradizionale della frammentazione della conoscenza.
Nuove modalità di comunicazione, interazione con il territorio, coinvolgimento del pubblico, fare sistema con i diversi attori: sono le parole-chiave di ArcheoFrame per un’archeologia pubblica. Approccio condiviso con alcune istituzioni, dal MiBACT alla Regione Lombardia, per citarne alcune, che a dicembre hanno promosso insieme a IULM il primo incontro sull’archeologia pubblica in Lombardia dal titolo «Archeologia e comunità: una stratigrafia di relazioni». La strada è intrapresa.
Luca Peyronel è Professore Associato di “Archeologia e Storia dell'Arte del Vicino Oriente Antico" presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. Come Direttore di ArcheoFrame - Laboratorio di Comunicazione e Valorizzazione dei Beni Archeologici dell’Università IULM di Milano è stato responsabile progetti di valorizzazione, realizzazione di prodotti multimediali, app, siti web e film documentari, collaborando con enti e istituzioni pubbliche e private. Ha curato e coordinato il progetto per la produzione del pluripremiato documentario scientifico archeologico ‘L’Italia dei Longobardi’ sul sito seriale UNESCO ‘I Longobardi in Italia. I luoghi del potere’ e collabora come consulente della Rai per l’ambito archeologico. È direttore (insieme alla giornalista Cinzia Dal Maso) della rivista ‘Archeostorie. Journal of Public Archaeology’ ed è membro del Comitato Scientifico di diverse riviste scientifiche nazionali e internazionali. Ha collaborato alla realizzazione di mostre ed è stato membro del comitato scientifico di numerosi convegni internazionali. Dal 1991 fa parte della Missione Archeologica Italiana in Siria della ‘Sapienza’ Università di Roma, svolgendo la propria attività di ricerca nei siti che sono oggetto di scavo di tale missione. In particolare, ha partecipato agli scavi di Tell Mardikh-Ebla (Siria) dal 1991 e di Tell Tuqan (Siria) dal 1993. È direttore della Missione Archeologica Italiana nella Piana di Erbil, Kurdistan iracheno dal 2013, riconosciuta e sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
È autore di tre monografie, curatore di cinque volumi, autore di un centinaio di articoli scientifici su riviste nazionali e internazionali.
- Il 20 febbraio 2006 fu emanata la Legge n. 77 Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale, posti sotto la tutela dell’UNESCO, una legge fondamentale che, per la prima volta, stabiliva normativamente che i siti UNESCO, per la loro unicità, sono punti di eccellenza del Patrimonio culturale, paesaggistico e naturale italiano, nonché elementi fondanti della rappresentazione del nostro Paese a livello internazionale.
La Legge 77, che prevede anche interventi finanziari a sostegno delle attività di valorizzazione, comunicazione e fruizioni dei siti stessi (art. 4), ha inoltre formalmente riconosciuto i Piani di gestione richiesti dall’UNESCO quali strumenti atti ad assicurare la conservazione dei siti e a creare le condizioni per la loro valorizzazione (art. 3).
Dal 2006 al 2016 sono stati finanziati 291 progetti, per un totale di 23.191.244,24 euro. Di questi, oltre quattro milioni di euro sono stati utilizzati dai siti per elaborare ed aggiornare i Piani di gestione.
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