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Angela Vettese: Ossessiva e folle, ma è la Biennale di un appassionato

  • Pubblicato il: 03/06/2013 - 23:24
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Melania Lunazzi

Angela Vettese, è positiva la sua impressione sulla Biennale?
Direi di sì. Sono molto intimorita dalla deriva irrazionalistica che la cultura sta prendendo in generale e nella Biennale di Gioni trovo che ci sia molto irrazionalismo; non a caso si apre con Jung e si va avanti con Steiner, cioè con dei campioni della perdita di fiducia nella logica. È facile che in periodi come questi, in cui tutto sta cambiando, ci si rivolga un giorno all’astrologia, un giorno ai tarocchi (che sono presenti in mostra in una delle loro versioni più esoteriche) un giorno alla psicanalisi, che è una splendida teoria, ma è una delle visioni del mondo non del tutto incentrata sul valore della Ragione con la erre maiuscola.
Lei la vede diversamente?
La mia sensibilità è sicuramente più scientista e non perché io non comprenda gli errori della scienza. Però so che tutte le volte che c’è stato un momento di paura nel mondo ci si è rivolti all’irrazionalismo e qui ce n’è tanto. È una mostra piena di follia, di follie al plurale, con diversi modi di essere folli. Certo è piena di professionalità, Gioni è stato da anni e anni tra i più bravi nell’organizzazione, tutto è perfetto. Però si sente la mancanza di un approccio fiducioso verso il futuro, mentre avere fiducia nella logica significa avere fiducia nell’uomo e nel futuro. Qui ho visto tanta paura in tanti luoghi diversi.
Quindi il suo timore verso l’irrazionalismo è riferito alla rappresentazione che se ne fa in questa Biennale, in quanto riflette il momento attuale.
Non è solo la rappresentazione. È che quando si hanno decine e decine di disegni messi in fila e decine di oggetti messi sotto teca c’è una chiara attitudine ossessiva. Uso questo termine proprio come lo userebbe uno psichiatra, c’è anche una sorta di ossessività come via di guarigione, ma da che cosa? Da una paura centrale, da un nodo, diciamo così, insopprimibile, di panico. Questa è una Biennale di grande professionalità, cultura, ricerca archivistica, passione... è senz’altro la Biennale di un appassionato. Si dice che Gioni ami il sistema dell’arte, nel senso che lo conosce, ed è vero. Ma si è visto che ama anche andare in archivio e non solo nei retrobottega delle gallerie; fa anche quello, ma non solo.
Ma il tema è anche quello dell’Enciclopedia, quindi ci sta la raccolta di tanto materiale.
Eh lo so, ma il tema l’ha scelto lui! E poi il tema dell’Enciclopedia è un tema molto vago. Può essere quello dell’Encyclopedie illuminista, il luogo della raison, ovvero della Ragione, pur con tutti i suoi dubbi. E Gioni invece ha scelto un palazzo enciclopedico che si riferisce a tutti i tentativi di palazzo prebabelico in cui si sa tutto e tutto viene compreso e conosciuto. Ma si sa bene come finisce poi il Palazzo di Babele, nasce come il luogo del sapere e finisce come luogo dell’incomunicabilità. Questo, dal punto di vista dei contenuti, può fare un po’ paura.
Riesce a scindere la visione da critico dell’arte e storico dell’arte, da grande conoscitrice dell’arte contemporanea, da quello del piacere per quanto ha visto e a dirci cosa è piaciuto alla Angela Vettese non critica?
Direi i quadri di Maria Lassnig, che peraltro conoscevo da tanto tempo, ma è bello che vengano «portati» a tutti. Mi è piaciuto certamente lo strano incipit con Jung, che non conoscevamo nella sua attitudine al disegno, anche se continuiamo a citarlo e usarlo. Non mi è piaciuto Sehgal e non sono d’accordo con il premio (il Leone d’oro, Ndr). Lui fu premiato alla sua prima partecipazione alla Biennale, al padiglione tedesco, ma questa è veramente un’operetta minore.
E all’Arsenale o fuori dai Giardini c’è qualcosa che l’ha colpita?
Tantissime cose. Mi è piaciuto il fatto che mi è stata data la possibilità di conoscere tante cose che non conoscevo, questo sì. Credo che sia molto stimolante. Non voglio fare un discorso sui padiglioni, perché ne ho visti pochi.  Sono stata favorevolmente colpita dal padiglione della Cina, che per una volta ho trovato azzeccato, poetico, non kitsch;trovo che i cinesi debbano superare questo problema del kitsch. Per la prima volta la Cina ha un padiglione che è al livello degli altri.

Lei è stata appena eletta (il 31 maggio) Assessore alla cultura di Venezia. Rispetto all’evento della Biennale interloquirà in modo diverso? Le chiederei che cosa vorrebbe fare, ma magari è presto...
Vorrei poterla potenziare veramente perché credo che sia una formula straordinaria. Ma non sta a me, è un ente autonomo: ci sono relazioni con il Comune, ma è appunto un’entità a se stante. Certamente va facilitata, le vanno aperte tutte le porte. Ha una concezione così antica, ma in realtà così moderna, così capace di svolgere una funzione di diplomazia culturale, così capace di essere uno strumento di peacekeeping, il che è straordinario. Pensi solo al fatto che il Padiglione del Vaticano sta esattamente sotto a quello degli Emirati Arabi, sono due religioni, due mondi, due guerre, due storie.... e non è che alla Biennale di Venezia non ci sia più la Battaglia di Lepanto, c’è, ma è risolta in qualche modo, è un luogo franco, un porto franco per il pensiero e per un certo modo di confrontarsi dell’Umanità. È, come dire che siamo tutti divisi, ma che è possibile un dialogo, come a un’Olimpiade. Ma forse di più.

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da Il Giornale dell'Arte, edizione on line, 3 giugno 2013