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All (My) Order, with Exceptions. Nedko Solakov alla Fondazione Galleria Civica di Trento

  • Pubblicato il: 07/10/2011 - 09:17
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Elisa Del Prete
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Trento. La Fondazione Galleria Civica di Trento, che nasce dalla cooperazione tra pubblico e privato, punta sulla sperimentazione. Una scelta quasi spontanea, secondo il direttore Andrea Viliani, in «una città, e una Provincia (autonoma), che ha fatto della produzione di sapere, dell’innovazione, della ricerca e della mediazione, della comunicazione (intesa come messa in comune) di queste risorse intellettuali la sua unique selling proposition». Ma una scelta che non può al tempo stesso prescindere proprio dalla sua origine, che mette insieme attitudini istituzionali più tradizionali con la spinta innovativa che è core business delle aziende che, accanto al Comune di Trento che è principale partner della Fondazione, hanno scelto di capitalizzare in conoscenza.

La mostra «All (My) Order, with Exceptions» di Nedko Solakov, che inaugura venerdì 7 ottobre (visibile fino al 5 febbraio 2012), e che è frutto della partnership con le altre tre istituzioni europee IKON di Birmingham, S.M.A.K. di Ghent e Museu Serralves di Porto, è un chiaro esempio di questo approccio. L'artista bulgaro, letteralmente tra i segni più significativi dell'espressione artistica emersa dai paesi dell'ex blocco comunista, tra i primi, fin dagli anni Ottanta, ad essere protagonista attivo di quel discorso artistico poi categorizzato come «balcanico» all'inizio degli anni Duemila, che si impegnava su temi geo-politici, identitari e di difesa delle minoranze, come su azioni di rottura nei confronti del governo (Solakov è tra i soci fondatori dell'ICA, Institute of Contemporary Art nel 1995, per cui mette a disposizione un suo immobile per avviare un centro d'arte contemporanea laddove la città di Sofia e tutto il Paese, ne erano mancanti), centra infatti perfettamente l'equilibrio tra forma e contenuto, tradizione e rottura. L'uso del segno e del gesto quali «semplici» codici linguistici in grado di veicolare discorsi «complessi» (sul sito dell'artista il visitatore può proprio scegliere se accedere al suo lavoro tramite le opere semplici o quelle complesse) è il suo punto di partenza: un tratto a china o a pennello, il disegno che ne esce, le immagini che lo accompagnano, gli oggetti...tutto diventa un atlante di segni in grado di parlare oggi e domani, in quanto, prima di tutto, somma di rimandi all'uomo stesso e alla sua espressività, alla sua capacità di raccontarsi e di tradursi nel tempo. Così il linguaggio esplicito e immediato, che è ormai cifra stilistica di Solakov, diventa critica sociale e/o istituzionale, volta però a fornire consapevolezza più che a chiudersi in giudizio, tramite un'inclinazione verso il pubblico che è quella della condivisione di strumenti interpretativi e non la manifestazione di posizionamenti. «Questo mi ha sempre affascinato – dice Andrea Viliani riflettendo sull'attitudine “critica” della poetica dell'artista - la prospettiva di trasformare il museo da spazio-tempo (tendenzialmente, se non realmente) neutrale della professione critica, a spazio-tempo dell’avventura critica, facendo levitare dentro la maschera del museo la realtà del racconto, di un’esperienza più immaginativa, fantastica, viscerale, in cui la critica è solo un elemento, un personaggio (tra l’altro parecchio sfortunato, a volte)».

La linea della mostra è molto semplice: 31 lavori, uno per anno di attività («Trent’anni di produzione, 5.683 file, 14.2 gigabyte, salvati su una chiavetta USB» si legge sul catalogo della mostra, il primo retrospettivo sull'artista, edito da Hatje Cantz), che se nelle altre sedi sono stati scelti dai rispettivi curatori, dunque 31 opere diverse per ogni sede, a Trento scaturiscono da una selezione dell'artista stesso, che ha scelto le migliori tra quelle scartate, «le opere che riflettono l’inevitabile incompletezza delle altre mostre, ma anche le opere di un ipotetico Salon des Refusés della sua stessa retrospettiva museale» (Viliani).
Così Solakov presenta la sua prima complessa retrospettiva, perché tradizionale non poteva essere... «Nedko Solakov non ne ha mai fatte, e credo non ne farà mai, ha anzi sempre cercato di schivare questa modalità espositiva che tende a fissare il discorso intorno alla pratica di un artista invece che a tenerlo aperto, a fornire delle risposte, critiche ed estetiche, invece che a provocare curiosità, nuove domande, nuove (ironiche o malinconiche) provocazioni, sorprese o come forse direbbe lui… racconti» dice ancora il direttore Andrea Viliani. La mostra risponde e corrisponde dunque alla vocazione della Fondazione, che è Centro di Ricerca sulla Contemporaneità, e del suo direttore, che sceglie di andare oltre un modello museale celebrativo e descrittivo, ormai superato, per proporre invece, sì, questioni legate all'identità e alla storia collettiva, ma attraverso un recupero di quel valore intrinseco all'espressione artistica che è la capacità di generare immaginari, il suo potere poetico e visionario, che sta all'origine di ogni pensiero innovativo.

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