Al terzo workshop internazionale sulle fondazioni, l'addio del centro documentazione della Fondazione Agnelli
Terzo workshop internazione sulle fondazioni a Milano, il 27 giugno e il 28 a Torino e canto del cigno dell’organizzatore, il centro documentazione delle Fondazioni della Fondazione Agnelli di Torino.
Una realtà creata da Marco Demarie, preveggente rispetto ad un fenomeno dallo stesso definito in «estensione», che tanto ha contribuito nel far crescere la cultura delle fondazioni nel nostro Paese e che chiude la propria attività a seguito dei mutati indirizzi della fondazione madre. Il fondo di dotazione, come stabilito dalla normativa, viene trasferito, in questi caso alla Facoltà di Scienze Politiche di Torino che finanzierà nuove ricerche, ma il settore rimane orfano di un osservatorio nazionale.
Interessanti gli attori e i contenuti di queste giornate organizzate in collaborazione con l’Università degli studi di Torino - Dipartimento di Scienze economiche e finanziarie «G Prato», e l’Università Cattolica del Sacro Cuore - CRC-Centro ricerche sulla cooperazione e sul non profit. Tra questi la lecture di P. Frumkin, Professor of Public Affaire and Director del RGK Center for Philanthropy and Community Service, University of Texas, Austin, sull’evoluzione delle fondazioni negli States. Secondo Frumkin anche nel Paese in cui il ruolo dello Stato è minimale e lo spazio per la presenza della fondazioni ampio, le strategie delle fondazioni sono fragili. Il tetto minimo del 5% del patrimonio dato in erogazioni annue stabilito per norma (tema sul quale in Italia si sviluppano riflessioni nei centri del sapere) per ottenere benefici fiscali come charities, si rivela nei fatti un tetto massimo e non stimola l’implementazione di strategie adatte ad incrementare il rendimento del patrimonio con cui finanziare le erogazioni.
Da Jasmine A. Mc Ginnis, Georgia State University. Stefan Einarsson, Stockolm School of Economics, e Hanna Schneider, Vienna University of Economics and business, una ricerca qualitativa su un campione di grandi realtà nei rispettivi Paesi per studiare come le strategie evolvono e quali fattori ne influenzano il processo di formazione. Le strategie adottate dalle fondazioni raramente mettono in atto importanti cambiamenti e, se ciò accade, non è in funzione di deliberate scelte, quanto piuttosto il risultato di circostanze particolari e perlopiù esterne. L’azione delle fondazioni si ispira alla continuità o, al massimo a piccoli cambiamenti, anche perché è sempre molto forte l’impronta della mission che viene data dagli statuti. Ciò che può fare la differenza proviene dalla leadership eventualmente esercitata da carismatici membri del consiglio d’amministrazione o dello staff esecutivo. Questa, che è certamente un’opportunità dove presente, appare una forte criticità che impedisce lo sviluppo del pieno potenziale di questi determinanti attori sociali nel loro naturale funzionamento strategico.
In Austria le fondazioni costruiscono «peer network», ponendosi in costante ascolto dalle best practice e soprattutto delle più giovani ed emerge come nel Paese e in Svezia i fattori di contesto siano determinanti: le fondazioni si percepiscono, e sono dalle normative nazionali confinate, in ruoli complementari rispetto alle politiche pubbliche di welfare, mentre il tema non è menzionato dal campione esaminato negli States in ragione della diversa concezione dello stato sociale dell’economia americana.
Sempre in Svezia le fondazioni apprendono dai bisogni espressi dalla società e dagli organismi che sostengono, dai nuovi gruppi di richiedenti, dal cambiamento veloce delle domande di finanziamento presentate. Le realtà corporate sono più proattive, ma ovunque cresce la consapevolezza dell’esigenza di lavorare su entrambi i versanti, delle risorse umane e dei processi, e soprattutto di rafforzare competenze e leadership, anche con nuovi ingressi nel board di membri che provengono da altre fondazioni.
Estremamente ricca di stimoli e animatrice di dibattito, la ricerca focalizzata sul panorama italiano in particolare sul ruolo giocato dalla governance – e quindi anche sui poteri di vertice e l’influenza politica - nella filantropia strategica delle fondazioni di origine bancaria da Giacomo Bosso, Fabrizio Cerboni, Andrea Menini e Antonio Parbonetti. Con un’analisi di 51 su 88 Fondazioni di origine bancaria, rappresentative per dimensioni e provenienza geografica, i ricercatori dell’ Università di Padova-Dipartimento di Economia e Management svelano in uno studio che verrà dato alle stampe da Acri con la rivista il Risparmio gli equilibri che hanno influenzato la performance delle FOB dalla loro nascita E di nuovo la leadership, questa volta esercitata dalla figura di maggior peso del Presidente della fondazione, fa la differenza soprattutto se ha potuto espletare il proprio mandato con continuità.
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