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Abbiamo imposto il nostro modello: siamo locali e mondiali

  • Pubblicato il: 08/03/2013 - 14:04
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
S.L
Piergiuseppe Dolcini

Forlì. «Sono nato a Meldola, dodici chilometri da Forlì, il 12 gennaio 1941 e di professione sono avvocato civilista con passione per il diritto del lavoro. Sono giunto a un’età in cui forse occorre pensare quasi alla rottamazione, ma resto a disposizione della città e continuo a riflettere sullo sviluppo di Forlì e sul futuro delle fondazioni di origine bancaria. Ho avuto un percorso formativo nell’Azione Cattolica e nelle Acli, poi ho fatto il consigliere comunale della Dc sino al 1985 e nel gennaio 1993 sono stato nominato, dall’allora ministro del tesoro Piero Barucci, presidente della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, creata un anno prima». Si presenta così l’avvocatoPiergiuseppe Dolcini che ai primi di maggio lascerà la poltrona più importante dell’ente al successore, nominato attraverso una complicata procedura: «Io sono stato, spiega Dolcini, l’unico presidente di fondazione nominato dal Governo secondo una vecchia legge mussoliniana poi eliminata. Per la scelta del mio successore svolgerò solo funzioni notarili: siamo una fondazione di tipo associativo, dunque convocherò l’Assemblea dei soci, il Consiglio generale e il Consiglio d’amministrazione che al termine del percorso nominerà il presidente».
Presidente, ci ragguagli sul patrimonio e sulle erogazioni recenti della sua Fondazione.
Il patrimonio netto a fine 2013 è pari a 433 milioni di euro; le erogazioni nel 2012 sono state 7,5 milioni, con circa 2,5 dedicate ad arte e cultura, mentre il bilancio previsionale 2013 ci dice che cresceremo, con 10 milioni di euro, fino agli anni pre crisi. Nelle ultime settimane in particolare abbiamo avuto andamenti di Borsa favorevoli ai nostri investimenti.
Avete enti strumentali?
Ne abbiamo due, Civitas e Romagna innovazione. Quest’ultima lavora bene e produce un fatturato annuo di circa un milione di euro: serve a trasferire tecnologia dai luoghi di innovazione, ad esempio l’Università con la Facoltà di Ingegneria, alle imprese forlivesi. In ambito culturale invece opera Civitas, che lavora nel campo della gestione dei servizi per le mostre che organizziamo al complesso di San Domenico. Inoltre l’ente è da pochi mesi proprietario dell’antico palazzo Talenti Framonti, l’ex Credito Romagnolo, con scalinata realizzata dall’architetto Michele De Lucchi, sulla centrale piazza Saffi. È in corso di ristrutturazione perché vogliamo dedicarlo a scopi di carattere sociale con iniziative dedicate anche agli 8mila studenti universitari che abbiamo in città. Nell’estate 2012 abbiamo affittato il piano terra alla libreria Feltrinelli, con anche un caffè letterario.
A Forlì, con milioni di finanziamento anche verso terzi soggetti, dominate la politica culturale, come peraltro avviene ovunque sia attiva una fondazione ex bancaria. Secondo lei un politico non ambirebbe ormai a farsi eleggere presidente piuttosto che sindaco?
Una domanda insidiosa perché scava nel rapporto tra la fondazione e l’amministrazione: è un tema interessante, occorre infatti prestare attenzione perché a volte potrebbe scattare una forma di invidia organizzativa. Un altro problema è evitare che noi si diventi autoreferenziali, ma sono tematiche complesse su cui non ho una soluzione. Certamente il futuro Parlamento, con tanti giovani eletti, dovrà anche pensare al ruolo delle fondazioni.
La Fondazione Cassa dei Risparmi è nota in ambito artistico soprattutto per le mostre al San Domenico.
Ne abbiamo realizzate otto, compresa questa dedicata a «Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre», che in un mese ha superato i 10mila visitatori (fino al 16 giugno; cfr. lo scorso numero, p. 34). In totale arriveremo a circa 700mila visite. Partimmo nel dicembre 2005 con il pittore locale Marco Palmezzano e avemmo l’idea, con il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci e il nostro coordinatore Gianfranco Brunelli, di legarlo ai grandi valori della pittura rinascimentale dei centri maggiori. Ci accorgemmo che l’intuizione fu innovativa e continuammo con le altre rassegne, legando radici locali a grandi temi: da Cagnacci messo in collegamento alle grandi tensioni tra Riforma e Controriforma, a Canova con cui indagammo lo spirito classicista e romantico. Il futuro della cultura penso sia questo: impegno locale e apertura nei confronti del mondo. In questo modo il territorio tramite la cultura cresce, anche economicamente, e migliora la sua accoglienza e offerta. In questo le fondazioni romagnole possono essere attrici fondamentali.

da Il Giornale dell'Arte numero 329, marzo 2013