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1400-1460: una città si mette sul piedistallo

  • Pubblicato il: 23/03/2013 - 14:50
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Laura Lombardi
Donatello

«La Primavera del Rinascimento» è il titolo scelto per la grande mostra che si svolge in due sedi diverse, alla Fondazione Palazzo Strozzi prima, dal 23 marzo al 18 agosto, poi al Louvre, dal 26 settembre al 6 gennaio 2014, curata da Beatrice Paolozzi Strozzi e da Marc Bormand (catalogo edito da Mandragora in italiano e in inglese e dalle Editions du Louvre in francese).
Beatrice Paolozzi Strozzi, può illustrare le ragioni e le peculiarità di questa mostra?
Rinascimento è un termine abusato a Firenze e nel mondo, identificato troppo spesso con gli anni in cui operano artisti quali Michelangelo, Botticelli e Leonardo. Abbiamo dunque ritenuto necessario mettere a fuoco le origini di questa straordinaria stagione, che comincia con la scultura e sulla quale molto raramente si sono accesi i riflettori. Direi che l’ultima volta è stata in occasione della mostra dedicata a «Donatello e i suoi» al Forte Belvedere, quasi trent’anni fa. Abituati a immaginare il Rinascimento da Lorenzo il Magnifico in poi, nel binomio inscindibile della città con i Medici, si dimentica che a Firenze, proprio all’esordio del Quattrocento e ben prima della loro ascesa al potere, si compie un vero «miracolo collettivo» e comincia il Rinascimento: una congiuntura di eventi storici, politici, culturali ed economici che vedono la città, giunta al culmine della sua ricchezza, fondare il suo splendore sulla collaborazione di tutte le corporazioni mercantili, su un comune e fortissimo orgoglio civico (la Florentina libertas) e dove grandi umanisti, come Salutati e Bruni, rivestono la massima carica politica di cancellieri della Repubblica. È la grande scultura, monumentale e pubblica, di Donatello, Ghiberti e Nanni di Banco che dà forma a questi nuovi ideali.
Il ruolo della scultura è infatti dominante in questo percorso espositivo e ribadito nel catalogo.
Donatello, Brunelleschi, Ghiberti, Luca della Robbia e Masaccio (il solo pittore) sono gli artisti ricordati come «padri fondatori» della rinascita da Leon Battista Alberti nel Prologo dell’edizione italiana del De pictura del 1436, dedicato peraltro a Brunelleschi. E basti pensare che quando Donatello scolpisce il «San Giorgio» (1416), manifesto estetico
ma anche civile del primo Rinascimento, Masaccio non ha ancora cominciato a dipingere. Oggi invece si assiste a una grande sfortuna della scultura, che è arte più difficile e in apparenza meno accattivante, che esige tempo per la fruizione e un approccio individuale. La nostra è una civiltà visiva bidimensionale e veloce, possibilmente colorata come lo schermo di un tablet. La pittura ha più «appeal»: tanto più se si considera la grande scultura monumentale a carattere pubblico (in mostra figurano alcuni esempi fra i più illustri), oppure opere di dimensione più ridotta e dal carattere più «raffinato», concepite per le ricche dimore private dell’oligarchia mercantile fiorentina dopo il 1460, come i busti ritratto di cui non mancheranno gli esemp
i.
La mostra si apre infatti con il modello della cupola brunelleschiana, si chiude con quello di Palazzo Strozzi e l’ultima delle dieci sezioni si intitola «Dalla città al palazzo».
Abbiamo voluto sottolineare proprio il momento della svolta dall’impegno civico corale e repubblicano, dove regna la Florentina libertas, a quello che segna la definitiva affermazione dei Medici, con un principato dissimulato che comincia dopo Cosimo il Vecchio e si impone con Lorenzo il Magnifico. Sarà una strada senza ritorno. Si tratta di una mostra che ci auguriamo non scontata, che forse deluderà chi nelle sale cerca Michelangelo: ci troverà invece tanto Donatello, suo grande padre spirituale. D’altronde, quando Cosimo il Vecchio torna a Firenze dall’esilio nel 1434, in città è già stato «inventato» quasi tutto quel che farà risplendere Firenze come nuova Atene, nuova Roma, nuova Gerusalemme.
La mostra è divisa in dieci sezioni, ma non segue un ordine cronologico bensì tematico.
Si è cercato di mettere in luce alcuni punti chiave che «distinguono» l’arte del Rinascimento ai suoi esordi: si parte da un’introduzione sull’eredità dei padri (la classicità del mondo antico, interpretata da Nicola Pisano, Arnolfo e Giotto, e quella del Gotico, soprattutto francese, da Giovanni Pisano fino a Jacopo della Quercia). Poi l’ideale, anche civico, della romanitas che si concilia però con un profondo spirito cristiano; o ancora, la «rinascita» di alcuni generi dell’arte antica, come il grande monumento equestre o il tema degli «spiritelli», i genietti alati dei sarcofagi romani che si trasformano in angeli «birichini» e che popoleranno la scultura anche monumentale; e poi, il tema dibattutissimo della prospettiva, dallo «stiacciato» donatelliano all’influsso delle teorie albertiane nel rilievo; il tema, davvero centrale, della diffusione della bellezza (ovvero della divulgazione di una nuova lingua figurativa e di un nuovo ideale estetico) attraverso i rilievi di Madonne
col Bambino, opera di grandi maestri, ma replicate con calchi e rese alla portata di tutti. O infine, il ruolo centrale nella committenza artistica degli ospedali, degli orfanatrofi e delle confraternite.

E la pittura?
Una delle sezioni è dedicata alla «pittura scolpita», un po’ la controparte della scultura dipinta. Pittori come Masaccio, Paolo Uccello, Filippo Lippi (di cui abbiamo la «Pala Trivulzio», restaurata per l’occasione) e altri interpreti di quel che si definiva «un fare monumentale», che ricercavano in pittura effetti di plasticità e di scorcio fino all’illusione di
tridimensionalità: basti pensare al ciclo degli «Uomini e donne illustri» di Andrea del Castagno, tra i protagonisti di questa sezione.

La mostra è in stretta collaborazione col Louvre. Come vi siete mossi nella realizzazione?
L’idea è partita dal successo della mostra dedicata a Desiderio da Settignano, organizzata congiuntamente dal Bargello, dal Louvre e dalla National Gallery di Washington nel 2006-07. Di lì la proposta del direttore del Louvre, Henri Loyrette, a me e a Marc Bormand,
conservatore capo del dipartimento della Scultura del Louvre, di immaginare una grande esposizione dedicata principalmente alla scultura rinascimentale, che potesse essere presentata in identica forma e con lo stesso catalogo nelle due sedi. Per Firenze, la sede ideale era Palazzo Strozzi e la Fondazione ha subito accolto il progetto con entusiasmo.
La mostra sarà dunque identica, dal punto di vista delle opere esposte, a Firenze e a Parigi: e questo non sempre accade, quando i prestiti sono necessariamente molto importanti e il periodo di esposizione assai lungo. Ma abbiamo incontrato una grandissima disponibilità da parte dei musei prestatori, di tutto il mondo, e così il progetto iniziale e «ideale» è stato
pienamente realizzato. Certo, come partner principale del progetto, il Museo Nazionale del Bargello, che dirigo, ha concesso alcune opere fondamentali come le formelle di Brunelleschi e di Ghiberti per il concorso del 1401 per la porta del Battistero o la predella del «San Giorgio» di Donatello; e lo stesso ha fatto il Louvre, con alcuni suoi capolavori. Ma anche altri musei sono stati molto generosi: avremo i «Putti» reggicandelabro del Musée Jacquemart-André di Parigi,  la cui attribuzione è da sempre dibattuta tra Luca della Robbia e Donatello (ma ora si propende per quest’ultimo), e che il restauro sembra rivelare esser stati tutti dorati, suggerendo l’effetto di percezione impressionante che dovevano
avere nella cantoria per cui erano scolpiti. Dal Victoria and Albert Museum di Londra proviene il «Tondo Chellini» di Donatello, gli angeli michelozziani del Monumento Aragazzi, l’«Ecce Homo» del misterioso Dello Delli e altro ancora: così come dal Bode Mu-
seum di Berlino la straordinaria «Madonna Pazzi» di Donatello e la «Marietta Strozzi» di Desiderio da Settignano. Anche dagli Stati Uniti abbiamo ottenuto opere prestigiose
.
Numerose sono le opere restaurate. Chi si è fatto carico dei finanziamenti?
I costi dei restauri sono stati divisi equamente tra la Fondazione Palazzo Strozzi e il Louvre, e gli interventi sono stati eseguiti in Italia e in Francia, con interessanti scambi di esperienze e di metodologie. Poiché il catalogo della mostra poteva solo darne una breve notizia, la Fondazione Palazzo Strozzi ha promosso la pubblicazione di un numero speciale della rivista «Kermes», che uscirà al momento dell’apertura della mostra, in cui sono ampiamente documentati gli interventi più significativi, a cominciare da quello del «San Ludovico di Tolosa» di Donatello,  davvero spettacolare: un gigante d’oro!

Il reportage completo è pubblicato in «Vernissage», il fotogiornale allegato a «Il Giornale dell'Arte» di marzo 2013. In edicola.
da Il Giornale dell'Arte numero 329, marzo 2013