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«Il nuovo mecenatismo d’impresa? E’ la condivisione di un percorso»

  • Pubblicato il: 04/11/2011 - 09:23
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Rubrica: 
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Alessandro Laterza

Roma. Promossa da Confindustria e Museimpresa, la VII edizione della «Settimana della Cultura d’impresa» che inaugura questo mese dal 21 al 28 novembre 2011, propone eventi (mostre, convegni, spettacoli dal vivo, rassegne di cinema industriale, aperture straordinarie di musei e archivi d’impresa) e dà un contributo alla diffusione della cultura d’impresa in Italia, intercettando un nuovo pubblico che supera di gran lunga il numero degli addetti ai lavori o degli appassionati del marchio. La «Guida al Turismo Industriale» (Touring Club Italiano 2003, 2008) ha aperto la via a un nuovo turismo tematico che supera l’attenzione verso una recente riscoperta della storia industriale e dell’eccellenza del made in Italy. È in corso un cambiamento di sensibilità.

Come opera la Commissione Cultura?
Il principale tema degli ultimi anni è stato l’approfondimento della disciplina giuridico-fiscale delle erogazioni liberali e delle sponsorizzazioni. Il nostro obiettivo è agevolare il processo dell’intervento delle imprese nella cultura, rimuovendo gli ostacoli e facendo emergere le opportunità, soprattutto fiscali. La norma è macchinosa [D.L. 35 del 2005]. Solo le grandi aziende hanno strumenti e persone per gestire pratiche complesse. L’IVA è fuori da qualsiasi parametro internazionale.

Complesse e forse nemmeno così incentivanti…
A prescindere dalla buona intenzione del legislatore, la normativa è un meccanismo punitivo piuttosto che di incentivazione. Abbiamo lavorato all’elaborazione di nuove proposte per rendere più fluido l’accesso e Confindustria deve aprire un dialogo istituzionale con il Mibac e il Ministero del Tesoro. Non sembra esserci un grande interesse politico in questi tempi di “magra”. Quando apriamo un discorso sui beni culturali, le disponibilità di principio sono molto alte da parte di tutti, la fattualità meno. Pare un terreno minato e ci si scontra con la burocrazia.

Però avete fatto un lavoro lobbistico che è anche di crescita delle competenze.
Sì, ci siamo attrezzati culturalmente e progettualmente. Il passo per il quale siamo pronti è la sensibilizzazione degli ordini professionali, in primo luogo l’ordine dei commercialisti per proporli, nella logica di una comunicazione circolare, alle aziende. Non troviamo un’interlocuzione per proseguire istituzionalmente.

Una battaglia abbandonata o differita?
No, abbandonarla mai. Il percorso è stato utile perché oggi reputiamo che la normativa più aderente alle esigenze aziendali nell’investimento in cultura sia la sponsorizzazione, dotata di una finalità e quindi integralmente deducibile a livello fiscale.

In un momento in cui si fa pesante il taglio di costi come si può giustificare, a prescindere dal concetto di sostenibilità, l’investimento in cultura?
Sicuramente ci sarà una frenata, un’oggettiva minore possibilità d’intervento. Va considerato comunque che la gran parte degli investimenti culturali appartiene a un club piuttosto ristretto di grandi imprese, che curano relazioni di tipo istituzionale. In questo periodo sono state fatte grandi operazioni, alcune presentate con molto clamore come Della Valle al Colosseo e altre meno, come Benetton alla Fenice di Venezia, nelle quali emerge la dimensione dell’impresa che costruisce un dialogo con la parte pubblica. Usciamo dal terreno del mecenatismo ed entriamo nel terreno della cooperazione pubblico-privato.

Qual è la differenza di intervento tra piccole e medie imprese e grandi player?
La sponsorizzazione si adatta molto bene alle imprese più piccole. Le grandi imprese sono un mondo a parte: hanno una capacità progettuale articolata anche in cultura e con una comunicazione mirata seducono, nel senso etimologico del termine, il consumatore in termini di adesione valoriale. Gli interventi che non portano ricaduta mediatica, sono un’area d’interesse prevalentemente delle fondazioni di origine bancaria che comunque ridurranno gli interventi, essendo finita l’epoca dei dividendi d’oro, e hanno spesso il vincolo di sostenere attività e iniziative sul loro territorio di riferimento, lasciando scoperte alcune aree del Paese, tipicamente il Mezzogiorno.

Ci sono altri interventi comparabili a quello Della Valle?
Sono scesi in campo Diesel, Cucinelli, Benetton. L’operazione di Benetton a Venezia è molto chiara: in cambio del restauro della Fenice ha aperto uno showroom in un immobile di pregio. Una relazione con riflessi commerciali che ha solo risvolti positivi.

Con prezzi peraltro molto interessanti. Per esempio i 5 milioni di Diesel in 15 anni per il Ponte di Rialto, sono una piccola entità se pensiamo a quanto costa un billboard sul ponte…
Nei limiti del rispetto delle reciproche competenze. Un carattere più attivo d’intervento di un partner privato in operazioni di interesse pubblico, che non si limiti a contribuire economicamente, ma apporti idee e competenze, è la chiave di volta per il futuro. Se il gioco è trasparente, non vedo perché non praticarlo. Inoltre, non va dimenticato che sussiste un importante fronte di intervento che non ha ritorni che non siano di prestigio e di reputazione: basti pensare allo spettacolare restauro della Galleria di papa Alessandro VII al Palazzo del Quirinale, realizzato con il sostegno della Fondazione Bracco.

Rispetto al prossimo appuntamento della «Settimana della cultura d’impresa» di novembre, quali macro temi proponete per sollecitare operatività e riflessioni?
La comunicazione, non sono solo rispetto agli investimenti culturali e alla responsabilità sociale, ma anche rispetto alla cultura d’impresa.

Una sua riflessione sulla Consulta di Torino: un modello che si è manifestato così efficace non si è, però, esteso oltre i confini della città…
Ci sono altre strutture organizzative, ma nulla di comparabile alla Consulta. Torino ha una notevole concentrazione di grandi imprese con un fortissimo radicamento territoriale ma, soprattutto, una componente di disciplina sabauda, affidabilità e determinazione che ha portato a un modello partecipato che supera la mera dazione di denaro. Che è esattamente la mia idea di nuovo mecenatismo d’impresa: la creazione di un percorso, con un senso sociale e istituzionale.

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