Tanti punti colorati non fanno un paesaggio
Pointillisme. Una miriade di piccoli punti di colori puri autonomi, che lascia allo sguardo la visione d’insieme, era la cifra del movimento pittorico francese di fine Ottocento. Oggi le numerose fondazioni non costituiscono un paesaggio leggibile. Se dalla lettura dei primi dati Istat rileviamo una crescita numerica esponenziale, dalla nostra analisi qualitativa sugli enti che hanno risposto ai questionari possiamo affermare che anche la varietà e la frammentazione non potrebbero essere maggiori. Nelle larghe maglie del Codice Civile si sono infilati modelli e regimi diversi, con ampia evoluzione.
Secondo la definizione dello European Foundation Center «le fondazioni di pubblica utilità sono basate su un patrimonio e su uno scopo. Godono di una fonte stabile e affidabile di reddito su archi temporali lunghi». Ciascuno degli elementi costitutivi soffre oggi di significative eccezioni e quando una definizione si trova «sfrangiata» significa che la realtà è più complessa delle nostre categorizzazioni.
Invero non disponiamo di un quadro oggettivo neppure con l’indagine qualitativa. C’è una grande «espansività», autocelebrativa, nel dare visibilità alle azioni, accompagnata da una profonda «timidezza» per le informazioni cosiddette «sensibili»: patrimonio, stanziamenti, investimenti, natura dei finanziatori, governance. La comunicazione è sempre più intensa, sul web e sui social network, ma la ricerca delle informazioni relative ai «quantum», richiede competenze da speleologi, spesso non appagate dai risultati. I bilanci sociali, quelli veri, che ragionano su relazioni con stakeholders e valutazioni di impatti (previste ex ante), sono ancora categorie dello spirito. Senza trasparenza è utopia creare rapporti di partenariato in Italia e tantomeno è possibile affacciarsi all’Europa. Assumiamo comunque che i patrimoni in linea generale siano modesti, nella generalità inadeguati rispetto all’impresa, prevalentemente indisponibili e non redditivi (immobili che caricano costi, collezioni d’arte e patrimoni librari la cui valorizzazione è distante da prezzi di mercato): una condizione di fragilità che minaccia l’indipendenza degli enti, se non individuano strategie, percorsi di sostenibilità (dalle alleanze, all’accesso a fonti di finanziamento terze al Pubblico, all’imprenditoria non profit), competenze manageriali.
Una somma di unità che non crea un sistema. È una vulgata che Privato sia sempre meglio di Pubblico. I tanti piccoli punti per uscire dall’affanno di cassa «potrebbero trovare efficienza attraverso una crescita dimensionale per aggregazione» come dice il Forum del Terzo settore.
I soggetti sono molto diversi tra loro. Ci sono i privati la cui stella polare è l’autonomia; fondazioni che nascono dal pubblico (come le ex IPAB) e, seppur di diritto privato, ne sono la rappresentazione formale e della pubblica amministrazione hanno i regimi, dal personale ai controlli; molte ne hanno di speciali (dagli Enti Lirici, al Cinema, Biennale,etc.), rientrando quasi in ordinamenti di settore a colmare lacune normative.
«Si gioca sul piano tecnico un discorso politico e sociale», secondo Marco Cammelli*.
In attesa dell’analisi dei dati Istat che verrà resa pubblica nelle prossime settimane, vi restituiamo la nostra indagine mantenendo la tassonomia individuata dalla Fondazione Agnelli per il Rapporto 2008, nella certezza che la politica dovrà inevitabilmente mettere in agenda il Terzo settore che sta premendo.
*Workshop bolognese «Le fondazioni come strumento di sviluppo futuro?», una chiamata a raccolta di enti filantropici realizzata a novembre dalla Fondazione Marino Golinelli, per valutare linee possibili di cooperazione e presentare alla Politica mozioni sul Terzo settore.
Le schede complete relative alle fondazioni civili si possono consultare on line sul Rapporto Annuale Fondazioni 2013/14, scaricabile a questo link