Italia anni Sessanta: l’Informale va minimizzato
Venezia. La donazione, da parte degli eredi, della «Intersuperficie curva bianca» (1963) di Paolo Scheggi, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, è l’occasione, per il curatore Luca Massimo Barbero, di riscoprire il lavoro di questo artista, scomparso a soli 31 anni nel 1971, e, parallelamente, di rivisitare gli anni del dopoguerra italiano con il progressivo superamento dell’Informale attraverso la mostra «Postwar. Protagonisti italiani», allestita dal 23 febbraio al 15 aprile alla Collezione Peggy Guggenheim. Tre gli artisti, individuati quali simboli dell’avanguardia degli inizi degli anni Sessanta, a cominciare da Lucio Fontana, di cui è esposto «Quanta» (1960), della Fondazione intitolata all’artista, nove elementi rossi triangolari, con buchi e tagli che si ricollegano ai suoi concetti spaziali. Seguono Piero Dorazio e i suoi reticoli ottici, esemplificati in tele quale «Mar Maraviglia» (1962) ed Enrico Castellani, con il suo azzeramento della superficie pittorica a favore delle tele perlopiù bianche, monocrome ed estroflesse. In questa prospettiva, si inseriscono le «Intersuperfici» di Scheggi, ottenute dalla sovrapposizione di tre diversi strati di tela, a creare un’interazione creativa con lo sguardo dello spettatore. Nella sala a lui dedicata si contrappongono tre intersuperfici bianche ad altrettante nere, mentre a fare da pendant a questo trionfo della monocromia, tipica dell’avanguardia degli anni Sessanta, si fronteggiano «Intersuperficie Curva Arancio» (1969) e «Intersuperficie Curva rossa». A chiusura del percorso un approfondimento dedicato a Rodolfo Aricònella sua duplice veste di pioniere dell’avanguardia minimalista in Italia e, insieme, di moderno interprete della prospettiva rinascimentale, come in «L’oggetto tenebroso di Paolo Uccello» (1970).