Cultura e volontariato, un connubio da sfatare
Il prossimo sabato 18 maggio 2013 il MiBAC organizza «La Notte dei Musei», un’iniziativa di respiro europeo che aprirà gratuitamente le porte dell’arte, sotto il chiaro di luna, ad un insolito orario, dalle 20.00 alle 24.00.
Un’azione di democratizzazione della cultura che, attraverso un ricco palinsesto di eventi collaterali, mira ad avvicinare il pubblico più ostile alla fruizione del patrimonio artistico, nonché tutti coloro che sono impossibilitati a visitare i musei nei normali orari di apertura. Una risposta certamente ai bisogni di molti visitatori che nello studio «Il museo che vorrei», la prima consultazione pubblica del MIBAC sulle politiche di accesso ai luoghi della cultura statali presentata lo scorso dicembre, avevano manifestato il desiderio di avere orari di apertura più estesi.
Ma, nonostante lo stivale abbia risposto con grande entusiasmo (elenco di coloro che hanno aderito), in un paese che spesso si contraddice come il nostro, non mancano le polemiche anche in questa occasione.
Reo, ancora una volta, il mezzo di condivisione ormai più osannato – facebook ovviamente - e la comunicazione tanto social da non far sfuggire proprio nulla.
Qualche giorno fa sulla pagina ufficiale del Mibac è comparso l’annuncio per il reclutamento di volontari per tenere aperti i musei statali nella notte del 18 maggio.
La replica indignata giunge dal parlamentare PD Matteo Orfini, che scrive in una nota, «in un Paese normale non ci sarebbe nulla di male nell'utilizzo del volontariato da parte del ministero della Cultura per agevolare l'apertura straordinaria dei musei il prossimo 18 maggio. Ma in un Paese normale quel ministero non sarebbe incapace di svolgere la sua missione a causa della mancanza di personale e di risorse e non ci sarebbero decine di migliaia di professionisti della cultura laureati, specializzati, dottorati costretti a lavoro sottopagato, deregolamentato, in nero».
Una sollecitazione tanto più urgente se consideriamo che arriva a ridosso della grande adunata dell’Aquila dello scorso 5 maggio, che ha visto storici dell’arte, professionisti della cultura, ricercatori, studenti, insieme per una «ricostruzione civile» attraverso la cultura.
E’ tempo di ripensare il ruolo della cultura per la crescita (non solo economica) del Paese, lontano dalle logiche dell’intrattenimento e del turismo «mordi e fuggi», come attivatore di processi di innovazione. Un processo che passa inevitabilmente per il riconoscimento delle humanities come professioni qualificate da retribuire, da incentivare, da proteggere e da non sostituire all’occorrenza con l'attività volontaria, senza dubbio apprezzabile ma non qualificata.
E’ tempo di prendere una posizione, per fare e non solamente per «annunciare».