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  • Pubblicato il: 14/02/2014 - 11:14
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Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Annus horribilis per le fondazioni di origine bancaria, portato sulle pagine dei giornali da una corrente di economisti che puntano l’indice sul legame con la politica, sull’influenza sulle banche conferitarie, oltre che sui nodi venuti al pettine a causa della crisi nella gestione di alcune realtà. Tra le critiche più diffuse quella che vede le Fob - formalmente private, ma di fatto di origine e natura pubblica - come caste chiuse, ago della bilancia nel controllo del credito italiano più che enti aperti al territorio e alla valorizzazione culturale delle aree di pertinenza, combattute tra la vocazione sociale e l’origine bancaria.
Le 88 Fob, di cui 85 rappresentate da Acri (la Fondazione Roma ha lasciato la compagine, rivendicando un suo percorso autonomo partito dall’uscita dall’azionariato bancario), sono molto diverse tra loro, per entità di patrimonio e organizzazione. Il costituente, Giuliano Amato, le definì «Frankenstein», realtà in evoluzione che devono completare il processo di privatizzazione avviato, uscendo dal capitale delle banche conferitarie e dedicandosi interamente al perseguimento di finalità sociali, tanto più necessarie oggi. Partite dal personale bancario distaccato, dopo vent’anni si sono molto evolute: strategie di allocazione di investimenti – che nell’entità e nelle modalità fanno i destini dei territori e si muovono sul terreno dell’innovazione, ormai preclusa al pubblico – richiedono profili di competenza elevati e permanenza sul ruolo, per conoscere, capire e decidere.
88 realtà che replicano altrettanti consigli di amministrazione, collegi sindacali, comitati di indirizzo. Con compensi molto diversi tra le diverse realtà, come analizza Vitaliano d’Angerio su Plus del 26 ottobre 2013. Organi collegiali in cui «la testa» conta, eccome.
Ma, nonostante la complessità di fondo «le problematiche di governo di queste istituzioni, sono molto spesso trascurate. (…) Non è più possibile pensare di governarle con la logica del buon padre di famiglia (…). Qualità, competenza e adeguatezza dei meccanismi di funzionamaneto dei consigli di amministrazione rappresentano la condizione necessaria», ci dicono Giacomo Boesso e Fabrizio Cerbioni dell’Università di Padova (nella recente ricerca «La governance delle Fondazioni: leader al servizio della filantropia» 2013 ed. Mc-Graw-Hill).
Al mestiere complesso, corrisponde, esigenza di esperienza. Ai vertici delle Fob uomini dal calibro di ferro, veterani vitali a prescindere dalla carta d’identità, che le fondazioni le «hanno fatte» nella loro evoluzione. Tra questi Giuseppe Guzzetti – «padre saggio» che ha pilotato il cammino in questi anni al vertice di Cariplo e di Acri – Aldo Poli, Mario Bozzo, Paolo Biasi, Antonio Finotti, Giuliano Segre, Dino De Poli (quest’ultimo protagonista di un rinnovo sofferto quanto le casse di Cassamarca), età media 78 anni, che mantengono dagli esordi un peso rilevante sui territori di competenza. Posizioni che attirano necessariamente la percezione di una «pietrificazione» del potere.
Solo quattro le donne con la poltrona numero uno (di cui tre nominate nell’autunno 2013), tra cui quella scomoda e sfidante di Fondazione Monte Paschi di Siena travolta dalla mala gestio, presa da Antonella Mansi classe 1974. Sette alla Vicepresidenza, tra le quali la «lady di ferro» Mariella Enoc. Sono però crescenti le presenze femminili nei CdA, in ossequio alla tendenza sociale di pari opportunità recepita dal codice di autoregolamentazione, «la Carta», che la categoria si è data e che, oltre alle quote rosa, evidenzia l’esigenza e la volontà di separazione della governance «dalla politica». Compito anche questo arduo, come si è visto per Sergio Chiamparino in testa all’importante Compagnia di San Paolo*, già Sindaco della Città e continuamente tirato in ballo nel 2013 per le cariche di Presidente della Repubblica, Segretario di partito (Pd) e forse ora di futuro Presidente della Regione Piemonte.
Il principio guida è la rappresentatività e non rappresentanza. L’esercizio della carica acquisita è indipendente dai nominanti.

La Legge Ciampi del 2004 prevede al massimo due mandati a decorrere dalla sua entrata in vigore. Il ricambio è quindi al «redde rationem»: l’86% dei Presidenti verrà sostituito entro il 2019 (67% entro il 2016). Il 28% è stato rinnovato nel 2013, ma non si può dire che dai profili emerga una nuova e più giovane classe dirigente. Se lo scenario è turbolento, si preferisce non rischiare. Ma è un modo per uscirne?

Dal XIII Rapporto Annuale Fondazioni, in Il Giornale dell'Arte, 338, gennaio 2014

* Lo scorso 10 febbraio il Consiglio Generale della Compagnia di San Paolo ha eletto Luca Remmert nuovo presidente