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Vivaio Italia: effetto serra

  • Pubblicato il: 30/11/2012 - 02:27
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Cristina Fiordimela
Diana Bracco

Milano. La presentazione del concept ideato da Marco Balich, da cui prende avvio il bando per l'invenzione del padiglione italiano all'Expo 2015, è un pastiche di parole chiave, di concetti e di buoni propositi. E qua e là, ripete Balich scusandosi, anche di qualche ingenuità. La prima è forse quella accezione negativa, che sembra essere tornata di moda nonostante i contributi teorici e pratici messi in atto già negli anni '70, della parola «museo» da contrapporre a dinamismo e innovazione. Eppure se riprendiamo i pensieri e i progetti museali elaborati in Italia, per non allontanarci troppo e rimanere radicati a questo territorio, che ha contribuito ad arricchire la cultura europea - ricorda nella sua introduzione Diana Bracco, commissaria e presidentessa di Expo 2015 spa - ci accorgiamo che il museo è tra i luoghi che assorbe e concentra in sé molti dei principi espressi in questa astrazione del padiglione Vivaio Italia, immaginato come «metafora del Made in Italy». L'idea di un luogo dove la «cultura è coltura di conoscenze», di uno spazio immaginato per proteggere un «vivaio di idee», che funga da «riferimento identitario» e da «censimento» di eccellenze. Ci vorrebbero troppe pagine per esplicitare puntualmente anni di ricerche e di esperienze che hanno dato sostanza a questi idiomi in seno al museo, che proprio per la sua missione di raccolta, conservazione e trasmissione di saperi, di «frutti» intellettuali e materiali colti dal territorio e dall'ascolto di chi lo abita, è anche condensatore magmatico delle criticità che scuotono il tessuto urbano. E a Milano ne parlano associazioni internazionali come ICOM. Basterebbe soffermarsi sui progetti di museo diffuso, di musei di cultura materiale, e di musei delle culture antropologiche per attivare una riflessione anche sui processi di progettazione partecipata, come fatto architettonico e atto cognitivo, oltre che declamazione politica. La partecipazione è auspicata come condizione ricorrente nella previsione del futuro padiglione, qui rappresentata dalla metafora dell'albero. L'albero della vita come icona transnazionale, evocatore di una crescita che affonda le radici nelle tradizioni ma protesa verso l'alto e ramificata in una pluralità di linguaggi, che qui simboleggia anche la coabitazione di religioni e spiritualità diverse. Coabitazione intesa come relazione che si manifesta attraverso una comunicazione mediatica, assunta come elemento di composizione dello spazio. Così si desume dallo scorrere di aforismi e immagini, volte a ribadire la polifunzionalità di un ambiente che deve essere «fortemente innovativo, mediatico, antitrionfale e nel contempo simbolo», perdurare anche dopo l'Expo, esprimere «trasparenza», evocare la «natura», e sfruttare le «potenzialità tecnologiche» in ambito energetico e costruttivo. La carrellata di casi-studio mostra, forse in modo eccessivamente didascalico, il tema del padiglione-serra dal Cristal Palace alla casa nel bosco, con tanto di sanitari trasparenti, fino alla spettacolarizzazione notturna, ottenuta con un ensemble mobile di collages retroilluminati che trasformano l'involucro trasparente in un grande schermo tridimensionale, a sottolinearne le possibilità espositive 24 ore su 24. Non a caso «vetrina» è un'altra delle keywordscitate. A chiosa della presentazione un audiovisivo, sul modello, abusato, di Koyaanisqatsi, riassume iconograficamente il concept, tratteggiando le sembianze di una città globalizzata. Entro il 30 novembre - annunciano gli organizzatori - sarà lanciata la gara per il progetto preliminare.
All'uscita della Triennale, dove il comitato di Expo 2015 ha incontrato la città e i professionisti, il cartello della pièce teatrale «El nost Milan» messa in scena dall'Orchestra di via Padova, che incorpora musicisti provenienti da nove paesi diversi, ci riporta a una dimensione orizzontale e concreta di forme di compartecipazione e di contaminazione corale, nate nelle strade dagli intrecci culturali impiantati nella città. Adesso, per concludere con Balich, architetti, fateci sognare.

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da Il Giornale dell'architettura , edizione online, 26 maggio 2012