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Quanta e quale innovazione stiamo generando?

  • Pubblicato il: 22/09/2016 - 00:48
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Redazione

 
La libertà è partecipazione
G. Gaber

Siamo entrati nella stagione dei Festival culturali che richiamano masse in ascolto dei guru della creatività, economia, spiritualità, filosofia, letteratura e quant’altro. Siamo nell’autunno caldo delle fiere d’arte contemporanea nel mondo, dell’apertura di nuovi e rinnovati musei, degli appuntamenti annuali sulle politiche culturali, sempre più ricchi e diffusi come i nostri partner: Artlab16 approdato a Mantova con Fatti di Cultura, Lubec con la sua dodicesima edizione a Lucca, Ravello Lab al suo undicesimo anno.
Forniamo il nostro contributo con un numero denso che accoglie l’invito di Mecenate ’90 ad aprire una riflessione pubblica sull’innovazione della cultura, politics e policies: al di là delle singole e numerose misure adottate già a partire dalla Legge di Stabilità, quanta e quale reale innovazione stiamo generando per conseguire risultati che vadano oltre il contingente?
Docenti universitari, ricercatori, operatori culturali, rappresentanti di enti e fondazioni hanno avuto carta bianca per contribuire al processo di cambiamento in corso. Come osserva Franco Milella commentando le rilevanti novità introdotte dal Nuovo Codice degli Appalti, non è sufficiente la normativa, “c’è sempre il rischio di restare in mezzo al guado”. Secondo l’economista Michele Trimarchi “per costruire un sistema di politiche culturali, che tenga fede al significato di due parole ormai abusate e spesso interpretate secondo convenienza, è necessario che il sistema culturale ridisegni la propria mappa strategica e pretenda un’azione pubblica che ne estenda le opportunità e ne rafforzi la responsabilità imprenditoriale, proprio in una fase storica in cui la cultura assume un peso cruciale ai fini del senso di appartenenza a una comunità complessa e multidimensionale, della qualità della vita urbana, dell’inclusione sociale, dell’atmosfera creativa, in una parola della semplice ma irrinunciabile ricerca della felicità”.

Utopia? Irraggiungibile? “Il luogo che non esiste in nessun luogo” come recitano i dizionari?
Nel 1516 usciva un libello in latino firmato Thomas More, che descriveva come l’ideale potesse diventare reale, come la Cultura potesse guidare la vita degli uomini. Nell’apertura della mente, nello sforzo di immaginare una società migliore, l’autore aveva disegnato l’isola di Utopia, luogo in cui l’Economia prendeva forma nella Condivisione, le persone lavoravano sei ore al giorno per potersi dedicare allo studio e alla cura della comunità, la tolleranza e il rispetto reciproco generavano libertà di parola e dialogo. Una governance partecipata diremmo oggi.
Molti *, noi compresi, hanno ripreso in mano il testo, l’Utopia, debitore a La Repubblica di Platone e ispiratore della Città del Sole di Tommaso Campanella.

Se, come scriveva Carlo Levi, le “parole sono pietre”, vi proponiamo un esercizio semantico in nome della convenzione di Faro. L’approccio ragionieristico all’economia della cultura da abbandonare, di cui ci parla Trimarchi, trova tra i primi dati la “quantità di pubblico” e i consumi culturali. Un italiano su cinque, secondo Istat, non “consuma” cultura durante l’anno.
Il nostro invito è abolire il termine 'Consumo' associato alla Cultura: consumo è “il processo economico che comporta un graduale esaurimento di energia, di materiali o sostanze varie, volto all’appagamento di bisogni limitati nel tempo; consumare equivale a distruggere, ridurre al nulla mediante l’uso”. Consumo ci riporta alla deleteria metafora del 'Giacimento' per il patrimonio storico artistico, che ci ha perseguitati dagli anni ’80: un giacimento, il nostro “petrolio”, dal quale estrarre passivamente. La Cultura non è “consumata”, entra in circolo, crea dipendenza.
Proponiamo la sostituzione del termine a livello giornalistico, statistico, politico, quotidiano con Partecipazione Culturale, dal latino Pars, parte e Capère, prendere parte, essere presente, condividere. Nel pensiero occidentale il temine è stato declinato nel significato a livello filosofico, antropologico, metafisico, politico: ha esito nel pensiero, nei comportamenti, nella cittadinanza attiva
Se “consumo” è direttamente correlato ad evento, “partecipazione” culturale è quell’ingaggio diffuso della popolazione che vorremmo come esito di un pensiero strategico a monte del sistema culturale, di ogni singola istituzione che si sta ridisegnando in una riflessione sulla ragione dell’esistere ponendo al centro dell’azione il pubblico, pensiero a cui ci richiama Antonella Agnoli in questo numero, a dieci anni dalla Convenzione di Faro: il sistema cultura è Promoteo, ha la possibilità magica di accendere il fuoco e non solo d’artificio.

 

  • Il bell’articolo di Tommaso Buttitta su Huffington post