Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Patrimonio culturale, audience development, innovazione: una ricetta europea per la ripresa

  • Pubblicato il: 17/06/2017 - 16:30
Autore/i: 
Rubrica: 
VOCI DALL'EUROPA
Articolo a cura di: 
Open Magazine

Silvia Costa, ex-Presidente della Commissione Cultura e Istruzione del Parlamento Europeo, presenta il 2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale: «I pilastri saranno coinvolgimento, valorizzazione, protezione e innovazione»
 

Ex-Presidente della Commissione Cultura e Istruzione del Parlamento Europeo, l'europarlamentare Silvia Costa è oggi coordinatrice del gruppo S&D alla Commissione Cultura del Parlamento Europeo. Fin dal Semestre della Presidenza Italiana del Consiglio Europeo (2014) è stata tra le più convinte promotrici e sostenitrici del progetto per istituire il 2018 come Anno Europeo del Patrimonio Culturale. In questa intervista, ci spiega la nascita del progetto, la policy europea in fatto di valorizzazione del patrimonio culturale e l'importanza dell'adozione di strategie di Audience Development e di innovazione (sociale e tecnologica) per il rilancio della cultura non solo come elemento di coesione sociale, ma anche come asset economico e produttivo.
 
Il 2018 sarà l'Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Come è nata questa iniziativa e che cosa significa, concretamente, per gli operatori culturali?
Innanzitutto, è necessaria una premessa giuridica per spiegare come sia stato possibile arrivare a un simile risultato. Di per sé la cultura è una materia che attiene ai singoli stati membri, già solo per il modo in cui delinea l'identità di ogni paese. Tuttavia, come sancisce il Trattato di Lisbona, anche l'Unione Europea può intervenire in questo ambito: per la valorizzazione del patrimonio culturale comune e per la tutela delle diversità culturali e linguistiche. Per esempio, attraverso il sostegno di imprese culturali, editoriali, audiovisive e creative. Partendo da questa base giuridica, fin dai tempi della Presidenza Italiana del Consiglio Europeo, nel 2014, abbiamo insistito molto per un intervento dell'Europa in materia culturale, in particolare ragionando su tre grandi assi, definiti all'interno del Parlamento: la gestione integrata del patrimonio culturale, una riflessione più ampia sull'industria culturale e creativa(sulla base del Libro Verde) e il programma Europa Creativa. Da lì è nata la richiesta, durante la Presidenza Italiana, di fissare un anno europeo dedicato al patrimonio culturale. Richiesta che è stata ufficialmente approvata lo scorso aprile.
 
Un Anno che arriva in un momento molto particolare, per certi versi anche complesso, nella definizione stessa di ciò che è l'identità culturale europea.
Non possiamo nasconderci che stiamo vivendo un momento di crisi nel senso d'appartenenza all'Unione Europea: ci sono difficoltà distribuite nei vari paesi membri, conflitti che minacciano il dialogo inter-culturale e inter-religioso. Tuttavia, dalle nostre ricerche emergono anche dei segnali positivi. Oggi il patrimonio culturale – sia materiale che immateriale – rappresenta una straordinaria risorsa di crescita: sia dal punto di vista della coesione e dell'inclusione sociale, sia come asset economico e produttivo. Si stima che in Europa le industrie culturali e creative valgano in media più o meno il 5% del Prodotto Interno Lordo, ma arrivino a sfiorare anche il 20%, se si includono tutti quei settori – come la moda – in cui la base di partenza è un discorso creativo. Per non parlare del turismo: circa il 40%, sempre in Europa, dipende da un volée culturale. Ci troviamo in un contesto in cui, da un lato ci si deve confrontare con quelle forze – per esempio l'ISIS – che hanno fatto della distruzione del patrimonio una sorta di principio per le loro battaglie: al punto che i loro non sono solo crimini di guerra, ma anche contro l'umanità; dall'altro, quello stesso patrimonio ha raggiunto un'importanza tale che emerge la necessità di sviluppare nuove professionalità, competenze, skills per la sua gestione e il suo rilancio.
 
Dal punto di vista della policy europea sul patrimonio culturale, si parla di quattro pilastri su cui si fonderanno le iniziative nel 2018: coinvolgimento, valorizzazione, protezione e innovazione. Due in particolare, lo sviluppo e il coinvolgimento di un nuovo pubblico e l'utilizzo di pratiche innovative sono al centro della giornata Audience Development è innovazione sociale, che si terrà il 21 giugno a Torino, organizzata dall’Osservatorio culturale del Piemonte e dalla Compagnia di San Paolo. Ci spiega come vengono intesi questi principi, in ambito di intervento sul patrimonio culturale?
In generale, l'obiettivo è quello di concentrarsi – all'interno della cornice europea – sulla valorizzazione di tutte quelle buone pratiche che sono finalizzate a intervenire e a trasformare il patrimonio culturale in un asset di sviluppo: pensiamo al tema della digitalizzazione culturale, per esempio, ma anche al più ampio discorso del turismo culturale. Qualche anno fa, a Venaria, ci fu uno degli eventi organizzati dalla Presidenza Italiana sulla cultura e il tema era la gestione partecipata del patrimonio. Si faceva riferimento a una convenzione non molto conosciuta, quella firmata nel 2005 a Faro, in Portogallo, e ratificata nel 2013, in cui si parlava per la prima volta del diritto dei cittadini alla conoscenza e alla valorizzazione del proprio patrimonio culturale, utilizzando un termine nuovo: la comunità di patrimonio, la comunità locale che si prende cura – secondo principi di responsabilità ed educazione – della gestione stessa del patrimonio, in modo innovativo, partecipato, integrato tra pubblico e privato. Ecco, a questo livello è fondamentale il discorso di Audience Development: ci si è resi conto che la conoscenza del proprio patrimonio culturale è ancora molto parziale, c'è spazio per ampliarla e per trasformarla in una più diretta partecipazione nella gestione del medesimo. Dal punto di vista dell'innovazione, sempre la Convenzione di Faro ha uno sguardo molto ampio e orientato verso il futuro: non si parla solo dei settori classici (editoria, architettura, archeologia, audiovisivi), ma di tutto quello che viene definito il patrimonio immateriale (dal folklore alla musica). Inoltre, si innestano discorsi di innovazione tecnologica: l'importanza delle apps, della digitalizzazione, del giusto intreccio tra città reale e città virtuale, della nascita di musei virtuali e diffusi. Tutte queste realtà e questa visione della cultura devono entrare nelle strategie di valorizzazione e di sostegno economico da parte dell'Unione Europea. Per questo, alla base del regolamento del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici, il cosiddetto “Fondo Juncker”, abbiamo chiesto che venisse inserito anche il sostegno alle imprese che si occupano di cultura, creatività ed educazione.
 
Il riferimento all'educazione e alla formazione ci introduce al discorso generazionale. Nell'ambito dell'Audience Development, quanto è importante raggiungere nuove fasce di pubblico tra la popolazione più giovane?
È fondamentale, ma è necessario superare il significato tradizionale di “partecipazione”. L'obiettivo è fare in modo che le persone, in particolare quelle che si avvicinano per la prima volta all'ambito culturale, diventino attive e pro-attive. Non bisogna solo aumentare i destinatari dei prodotti culturali, o agevolarne l'accesso – che è di sicuro importante – ma renderli protagonisti. Dobbiamo incoraggiare quelle imprese, spesso piccole e medie, che si muovono in questo modo nel campo della cultura, del turismo culturale e dell'innovazione tecnologica applicata alla cultura. Accompagnando il tutto con un grosso lavoro di educazione al patrimonio. Le faccio un esempio che presenterò venerdì 16 giugno alla giornata che abbiamo organizzato a Roma per confrontarci con gli operatori istituzionali italiani sul 2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale: Europa InCantoè un progetto nato presso l'Opera di Roma, grazie all'intraprendenza di una donna straordinaria, Nunzia Nigro. Oggi coinvolge 45mila bambini fra i 3 e i 13 anni, avvicinandoli al mondo dell'opera lirica: durante l'anno, imparano non solo a cantare i libretti ma si impadroniscono anche di competenze e conoscenze legate alla realtà del backstage. Questo è un esempio di eccellenza italiana che va valorizzata, diffusa, moltiplicata. Ed è molto bello vedere come il progetto oggi faccia parte di una rete continentale, OperaEuropa, che unisce iniziative simili dall'Italia alla Scandinavia. A maggio, Europa InCanto ha organizzato tre rappresentazioni quotidiane al Teatro Argentina di Roma, tutte opere allestite dai partecipanti al progetto, coinvolgendo anche ragazzini disabili e il linguaggio dei segni. Bene, le tre recite sono state sempre strapiene. Il che significa essere riusciti, attraverso il coinvolgimento dei bambini, anche a raggiungere i genitori, i parenti, i docenti.
 
Ha appena citato un network che mette in contatto attività di diversi paesi europei, “dall'Italia alla Scandinavia”. Quali sono le differenze di approccio al tema della cultura e della progettazione culturale, da parte dei singoli paesi membri dell'Unione?
Nell'indicare la propria “Smart Specialization Strategy”, cioè l'area e la strategia su cui intendono investire in fatto di ricerca e innovazione, venti regioni europee (tra cui sei italiane) hanno indicato la cultura. E non si tratta solo di regioni appartenenti a stati dove il rapporto con la storia e il patrimonio è tradizionalmente molto forte, come l'Italia, la Francia, la Germania o la Spagna. C'è anche qualche regione del Nord e dell'Est Europa. Naturalmente, ci sono delle differenze. L'attenzione al patrimonio culturale sta crescendo molto nei paesi dell'Est Europeo, come la Polonia, la Repubblica Ceca, la Bulgaria, seguendo però percorsi diversi rispetto a quelli di altre aree geografiche. C'è un interesse molto forte nei confronti della produzione contemporanea, come ho potuto riscontrare di persona qualche settimana fa a Plzen, vicino a Praga, dove una grande iniziativa di recupero ha portato alla nascita di un innovativo FabLab. Ci sono poi questioni su cui dovremo concentrarci attentamente durante l'Anno Europeo del 2018: per esempio, la poca attenzione che in certi paesi dell'ex-Unione Sovietica, compresi quelli baltici, viene posta nel verificare chi interviene nei recuperi e nei restauri di manufatti storici. In Italia, siamo molto più severi nei bandi, nella selezione delle imprese, nelle richieste di determinate competenze. Su questo tema, si dovrà pensare a una nuova strategia – non solo di indirizzo, ma anche normativa – anche per limitare i rischi del dumping. Si dovrà anche raggiungere una convenzione che regolamenti l'importazione dei beni culturali da paesi terzi, in particolare da quelli dove sono in corso dei conflitti. E si potranno ampliare gli orizzonti: sarebbe bello che non fosse solo l'anno del Patrimonio Europeo, ma che si ragionasse in partnership con i paesi del vicinato, come quelli del Mediterraneo e dei Balcani. Il 2018 sarà anche l'anno giusto per definire percorsi comunitari di mobilità per giovani artisti e operatori culturali, oltre che per approfondire e confrontare le esperienze in fatto di skills: ormai è evidente il bisogno di nuove competenze nel management culturale.
 
In Italia quali saranno i prossimi passaggi?
Già dall'incontro di venerdì 16 giugno ragioneremo sulle flag initiatives, le iniziative-bandiera, legate a temi e luoghi importanti. È importante che inizino a confrontarsi tutte le realtà che dovranno collaborare tra loro, per questo ho chiesto al ministro Franceschini di creare una task force coordinata dal MiBACT. Le possibilità sono numerose. Per esempio, visto che nel 2018 Palermo sarà la Capitale Italiana della Cultura, la città siciliana potrebbe diventare la sede perfetta per iniziative di alto profilo nel campo del dialogo interculturale e sul patrimonio del Mediterraneo. Lucca invece, che è un crocevia della Via Francigena, a settembre ospiterà un evento legato ai 30 anni del programma del Consiglio d'Europa sugli itinerari culturali europei. E così via. Fondamentale sarà il dialogo con tutte le istituzioni, le associazioni e le realtà che si occupano di cultura. Comprese, naturalmente, le Fondazioni: con loro si potrà ragionare sia in termini di partnership concreta, al momento della presentazione dei progetti, sia nel campo della riflessione sulla materia. Molte importanti elaborazioni in questo ambito arrivano proprio da lavori e convegni nati in seno alle Fondazioni.
 
Intervista rilasciata per OPEN MAGAZINE, il nuovo magazine online di Compagnia di San Paolo su domanda culturale e innovazione sociale.

© Riproduzione riservata