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Opera: continuiamo a pensarci

  • Pubblicato il: 15/01/2016 - 13:32
Autore/i: 
Rubrica: 
SI FA TEATRO
Articolo a cura di: 
Paola Dubini

L’articolo 11 della legge 112/2013 , come è noto, prevede che le fondazioni lirico sinfoniche in strutturale difficoltà finanziaria possano presentare un piano di risanamento con criteri fissati e ottenere un finanziamento agevolato (sotto forma di fondo di rotazione da restituire in 30 anni) da parte dello Stato di 148 milioni di euro complessivi. Di questi, 23 sono stati erogati sotto forma di anticipazioni. Le richieste complessive di finanziamento sono state di 35,5 milioni e quelle di finanziamento di 140 milioni.
La legge prevede altresì che in mancanza di equilibrio strutturale entro l’esercizio 2016 le fondazioni siano poste in liquidazione coatta amministrativa.
Per uno studioso, l’insieme delle Fondazioni lirico sinfoniche è uno straordinario caso di «esperimento vivente». Siamo davanti a 13+1 organizzazioni che ope legis hanno avviato un processo di trasformazione da enti dello Stato a fondazioni a partire dallo stesso anno (1999), che hanno sviluppato in questi anni strategie differenti, all’interno però di un sistema di vincoli definito. Ora, le otto di loro più fragili dal punto di vista della sostenibilità economico finanziaria hanno presentato un piano di ristrutturazione: di queste, cinque (Trieste, Napoli, Firenze, Palermo, Bari) perché in amministrazione straordinaria da almeno due esercizi e non ancora ricapitalizzate; tre (Bologna, Opera di Roma e Genova) poiché ritenevano di non essere in grado di far fronte ai debiti esigibili senza l’aiuto della legge.
 
L’esercizio di redazione dei piani è stato complesso e in media ciascun piano è stato redatto in cinque versioni. A metà settembre 2014 cinque piani erano approvati da MIBACT e MEF; a metà ottobre 2015 anche i piani di Palermo, Bari e Genova completavano l’iter con approvazione da parte della Corte dei Conti. Obiettivo di questo articolo è fare il punto sull’applicazione della legge ad un anno «dalla scadenza».
 
Alcuni aspetti emergono con chiarezza: l’applicazione della legge permette una piccola riduzione del debito e soprattutto un trasferimento del debito da fornitori, banche e lavoratori allo Stato. Poiché i tempi di restituzione sono molto allungati, nel breve e nel medio periodo questo porta ossigeno di cui le fondazioni hanno grande bisogno. L’orizzonte temporale di riferimento, unito ai tempi e alle regole di predisposizione dei bilanci da parte della PA non determina nei piani presentati significativi cambiamenti nella struttura dei contributi da parte degli enti locali. La riduzione prevista del personale è di circa il 7% in termini di unità e di circa l’11% in valore; i piani prevedono un aumento del numero delle rappresentazioni e della loro complessità in termini di personale scritturato; la crescita ipotizzata dei ricavi (circa dell’8% medio) deriva da un aumento dei ricavi da biglietteria, ma non da un significativo aumento dei ricavi per alzata di sipario. I costi previsti totali e di produzione per alzata si prevedono in calo, con differenze significative fra teatri. L’insieme di queste misure consente, nei tre anni, un miglioramento atteso del margine e dei risultati complessivi.
L’esercizio è indubbiamente impegnativo: dal punto di vista economico, la riduzione dei costi di personale è guidata dal dettato della legge che impone di ridurre in particolare personale tecnico e amministrativo. In generale i teatri sono avviati a ridurre il costo medio a rappresentazione per effetto dell’aumento del numero delle alzate di sipario e a una parziale revisione dei processi di produzione, ma d’altro lato tendono a mettere in scena produzioni più complesse per aumentare i punti FUS e quindi poter accedere a contributi maggiori. I costi totali si riducono anche per una maggiore attenzione posta ai consumi in generale e per una riduzione per i costi di marketing. Tuttavia, è difficile ridurre i costi di promozione e al contempo aumentare il numero degli spettatori e delle serate: le attività di fundraising, di promozione e di gestione dei ricavi sono tipicamente il risultato del lavoro di personale amministrativo del quale i teatri avrebbero molto bisogno e che devono ridurre per il dettato di legge. Inoltre, la frequenza delle rendicontazioni e i ridotti tempi a disposizione per realizzare il piano impongono una disciplina amministrativa e finanziaria che deve fare i conti con la delicatezza delle relazioni sindacali da un lato e con la complessità e le lungaggini di processo sul fronte interministeriale. Difficile spingere tutta l’organizzazione a una “disciplina da stato di crisi” caratterizzata tra l’altro da forti tensioni di cassa quando la distanza temporale fra la presentazione del piano, la sua approvazione e l’erogazione dei fondi supera un anno sui tre a disposizione; difficile ridurre i costi amministrativi aumentando la cultura di controllo di gestione.
Sul fronte patrimoniale è purtroppo irragionevole immaginare un aumento del patrimonio netto delle Fondazioni coerente con le loro necessità di capitalizzazione. L’insieme dei piani prevede tra fine 2013 e fine 2016 un aumento complessivo di 27 milioni di euro, che è già un programma molto ambizioso
 
I risultati disponibili mostrano gli sforzi fatti, ma segnalano revisioni al ribasso dei risultati. e forti differenze nella capacità dei teatri di affrontare con successo il processo di risanamento.
In generale, l’impressione è che la legge abbia dato l’opportunità ai teatri di avviare un processo di riorganizzazione nel segno della continuità e di responsabilizzare i loro interlocutori istituzionali, più che di ripensare drasticamente la propria strategia. Riportare i conti a posto in tre anni (nominali, perché in verità il primo è stato speso a redigere il piano e per tre degli otto teatri lo slittamento è stato doppio) non è impresa facile per nessuno e quindi c’e’ il timore non del tutto ingiustificato che le strategie previste non siano sufficienti a riportare i teatri alla continuità sostenibile. A guardare i numeri, gli indicatori di risultato sono migliori rispetto a prima della legge, ma la strada è in salita.
Le differenze fra gli otto teatri sono significative in termini di dimensioni, di gradi di libertà nella definizione delle strade percorribili, di contributi ricevuti e di possibilità di completare con successo il piano di risanamento. Per tutti il processo è impegnativo; tutti devono confrontarsi con il problema di mantenere il pubblico tradizionale trovando al tempo stesso i modi più appropriati per attirare e coinvolgere pubblici nuovi. La negoziazione con il personale dipendente e scritturato è delicata per tutti; per tutti la revisione in logica di miglioramento di efficienza e collaborativa dei processi di produzione è necessaria e non semplice da realizzare. E inoltre, tutto il sistema dell’opera deve fare i conti con un’opinione pubblica domestica in complesso disattenta e con un sistema internazionale che presenta modelli di gestione interessanti. Credo che la boccata di ossigeno sia importante, ma non risolutiva. E quindi che si imponga da subito una riflessione sui temi comuni, ma declinati per singola istituzione e per territorio. Ad esempio,  tutte le fondazioni lirico sinfoniche hanno un problema di coinvolgimento e mobilitazione di nuovi pubblici e di allargamento delle fonti di ricavo, ma Firenze, Roma, Venezia possono contare su volumi di turisti incomparabili rispetto a Trieste o Torino. L’offerta di opera intorno a Bologna è ben diversa rispetto a quella intorno a Cagliari e non coinvolge solo la fondazione lirico sinfonica. Il sistema di offerta di opera del nostro paese comprende anche i teatri di tradizione e i festival; e se dal punto di vista istituzionale, giuridico ed economico si tratta di realtà molto diverse fra loro, tutte condividono problemi comuni: come ridurre i costi di produzione attraverso le collaborazioni mantenendo specificità culturale, come offrire varietà e novità riducendo i costi, come attirare nuovi pubblici senza alienarsi quelli tradizionali, come bilanciare star affermate e nuovi talenti. Il lavoro da fare non è «semplice» limatura.
 
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Paola Dubini – ASK- Università Bocconi