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Open Incet , Centro di innovazione aperta della città di Torino, promosso da Fondazione Brodolini

  • Pubblicato il: 14/02/2016 - 10:18
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni

Con tre progetti di riqualificazione urbana come l’Incubatore Sociale del Comune di Milano FabriQ  a Quarto Oggiaro, il Centro di Innovazione Aperta Open Incet della città di Torino nel quartiere Barriera Milano e il Milano Hub Makers – MHUMA in via D’Azeglio, che aprirà ainizio 2017, la Fondazione Brodolini, basata a Roma,  si attesta fra le più attive istituzioni votate all’innovazione sociale attraverso la riqualificazione urbana. Ne parliamo con Fabio Sgaragli, Open & Social Innovation Manager
 
 
Milano. Negli ultimi mesi dello scorso anno, nuovi importanti centri per l’innovazione nelle sue differenti declinazioni tematiche hanno aperto le porte. A Milano, BASE nell’area ex Ansaldo in via Tortona con 6.000mq, e Talent Garden Milano Calabiana con 8.500 mq di coworking.  Open Incet a Torino, inaugurato il 15 ottobre 2015 grazie alla spinta della piattaforma comunale Torino Social Innovation
Spazi privati di coworking e incubatori d’impresa si stanno moltiplicando, ma solo alcuni lavorano sull’innovazione sociale .
Open Incet ad esempio è uno spazio ibrido che nasce dalla volontà di riqualificazione e rigenerazione urbana, a cui segue la trasformazione in contenitore di nuove esperienze, dove pubblico e privato sperimentano forme di collaborazione e dialogo per intercettare le istanze innovative delle comunità di riferimento e co-costruire economie sostenibili ad alto tasso di creatività, motore per la ripresa del Paese dalla crisi di valori ed economica.
Abbiamo incontrato Fabio Sgaragli, Open & Social Innovation Manager di Fondazione Brodolini , che insieme ad altri partner è promotore di questo spazio, con il quale abbiamo approfondito le motivazioni dell’impegno dell’istituzione per la quale lavora sul tema dell’innovazione sociale , che la vede impegnata anche su altri cantieri in Italia.
 
 
Quale la storia della Fondazione Brodolini?
La Fondazione Brodolini nasce nel 1971 come lascito intellettuale, insieme alla biblioteca e archivio di  documentazione, di Giacomo Brodolini, ex Ministro del Lavoro, a cui si deve l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori.  Da inizio 2000 è evoluta in un centro di ricerca italiano, e poi di azione europea, per la consulenza a tutti i livelli delle Politiche di Governance. La sua missione è quella della ricerca, consulenza e creazione di infra-strutture di gestione multi-dimensionale ( dal locale all’internazionale), con azioni di innovazione dal basso e  formulazione di strategie di attivazione delle comunità per intercettare, amplificare e potenziare le istanze di cambiamento che nascono nei territori.
 
 
Perché la Fondazione ha focalizzato il suo interesse nella riqualificazione urbana?
Come ho scritto nella mia prefazione al Quaderno n.51 della Fondazione “Laboratori urbani. Organizzare la rigenerazione urbana attraverso la cultura e l’innovazione sociale”,  la Fondazione è sicuramente un osservatorio privilegiato su questi temi, essendo allo stesso tempo impegnata a offrire servizi di assistenza tecnica ad amministrazioni locali e regionali funzionali all’utilizzo dei fondi strutturali, ma soprattutto alle istituzioni europee responsabili di definire le cornici generali all’interno delle quali questi investimenti ricadono. Questi “buchi urbani”, ferite nei tessuti sociali derivate da trasformazioni economiche e produttive, vengono restituite con nuove funzioni e riempite di vita.
La formula è semplice: il Pubblico ha interesse a rilanciare questi luoghi, spesso impegnativi da gestire. I Privati vogliono creare opportunità di business facendo attrazione di reti internazionali.
È la rete che crea vero valore. E la Fondazione lavora per facilitarne la tessitura.
 
 
In quale maniera si lavora?
All’interno della Fondazione giochiamo il ruolo di honest broker che raccoglie e mette insieme partnership private o istituzionali con progettualità e idee del settore del non profit per creare occupazione. In fondo la Social Innovation è proprio questo: un’ibridazione fra settore profit e non-profit con l’idea di creare occupazione, economia sostenibile e scalabile.
Siamo facilitatori che non hanno interesse a sovrapporsi all’esistente, ma vogliono fare cassa di risonanza delle migliori esperienze e aiutarle a crescere e replicarsi altrove. Il tentativo è prototipare nuovi modelli di gestione per scalarli, con il rispetto della valorizzazione di esperienze esistenti.  Il nostro obiettivo è aprire una rete di 5/6 luoghi di riferimento in tutta Italia. Vogliamo creare massa critica con l’idea di drenare flussi di pensiero, non solo call for ideas, o lancio di bandi, ma la costruzione di veri network infra-istituzionali. Anche in termini di metri quadri ampi, lavorando su partnership pubblico-privato, co-design di servizi e co-progettazione. Di fatto ci muoviamo tenendo conto di tre direzioni: comprendere le strategie locali per lo sviluppo dei territori; scegliere i partner giusti per lavorare insieme su queste operazioni; intercettare reti attive sui territori per amplificare i risultati delle attività e intercettare potenziali utenti di questi spazi.
 
 
Esiste un modello vincente per la nascita di questi spazi?
C’è una geometria variabile per territorio. Non c’è una ricetta fissa sui progetti.  Dipende anche molto dal tipo di concessione che viene applicata, diversa da Comune a Comune, mancando una normativa unica a livello nazionale. Col tempo auspichiamo nell’emergenza di soggetti capaci di governare la complessità delle differenti concessioni ad ampio raggio, uscendo dagli specialismi territoriali e creando le opportune sinergie.
Quello però che rimane fondamentale, come ho dichiarato nella sopracitata prefazione, è che senza le comunità, qualsiasi progetto di riqualificazione è destinato a fallire. Ci vuole una vocazione chiara, un disegno di lungo periodo, energia da iniettare dentro. Le comunità di cittadini che vivono fisicamente intorno a questi progetti possono determinarne il successo o l’insuccesso, possono diventarne i custodi come i primi nemici.
 
 
Come nasce Open Incet?
Open Incet nasce nell’area dell’ ex fabbrica di cavi elettrici Bruni Tedeschi donata al Comune di Torino, che da anni ha promosso un’ampia azione di riqualificazione sotto il nome di Urban Barriera. In Open Incet occupiamo  1000 metri quadri e abbiamo coinvolto al momento 10 partner per la creazione di un Polo di innovazione urbana, con la missione di intercettare le istanze dal basso.
 
 
Non pensate ci sia concorrenza sul tema dell’innovazione sociale?
Competitors? Preferiamo parlare di Co-petitors. Su alcuni territori infatti siamo alternativamente competitors con altre organizzazioni, e su altri siamo partner seduti dalla stessa parte.  È un equilibrio interessante che mette alla prova le logiche di competizione classiche e allo stesso tempo apre la strada a nuove forme di collaborazione ibride e flessibili. Si può pensare che questi equilibri siano quasi impossibili da trovare, ma alla fine è sufficiente comportarsi con buon senso e tenere aperto il dialogo per riuscire a lavorare bene insieme.
 
www.fondazionebrodolini.it
www.openincet.it
 
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