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Officina delle Idee Benefiche

  • Pubblicato il: 14/02/2017 - 23:51
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Francesco Florian

Il 20 gennaio 2017, a Milano, presso la Fondazione Ambrosianeum, si è svolto un seminario sulle Societa Benefit (previste e disciplinate dalla legge di stabilità 2016), alla presenza del Senatore Mauro del Barba, cui si deve l’introduzione dell’istituto giuridico in Italia. Nel corso del seminario si sono tenuti vari interventi tecnici e sono stati presentati i risultati della ricerca del centro studi “Officina delle Idee Benefiche” sullo stato delle Società Benefit in Italia al dicembre 2016 (www.odib.it). Pubblichiamo l’intervento del giurista Francesco Florian, titolare della nostra rubrica Normat(t)iva.

Odib-L’Officina delle Idee benefiche, il recente centro studi con sede a Milano, di soggetti operanti nel sociale e nel mondo pubblico, creato per promuovere nuovi schemi socio-produttivi, ha realizzato ad un anno dall’introduzione delle Società Benefit in Italia un breve report per presentare i dati di un fenomeno in crescita, espressione dei chiari mutamentiche stanno permeando il mondo delle realtà produttive, il loro rapporto con le altre forze sociali.
Al 31 dicembre 2016 risultano iscritte nel registro delle imprese 64 società benefit (44 nel Nord, 11 nel Centro e 9 nel Sud) con unità locali in più Regioni, di cui il 6% con capitale oltre il milione di euro. 13 società fanno capo ad enti non profit o comunque sono da questi partecipati, 11 sono controllate da società commerciali e 29 partecipate da sole persone fisiche. I settori più rappresentati sono l’agroalimentare (13%), la sanità e il self care (10%), Ambiente (6%).

Può essere opportuno delineare ulteriormente la collocazione civilistica e costituzionale della Società Benefit, previste e disciplinate dalla legge di stabilità 2015, onde verificarne anche un eventuale impatto per la gestione dei beni culturali immobili, in primo approccio di proprietà privata (per quelli di proprietà pubblica è necessaria una riflessione più articolata).
Iniziamo dalla definizione stessa di società benefit: essa è una società che nell'esercizio di un'attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, persegue una o più finalità di beneficio comune.

Quali sono, quindi, le sue caratteristiche?

  • E’ una società (e non è una dizione atipica), quindi o è una srl, o è una spa, o è una sapa, o è una società di persone, nelle sue varie declinazioni;
  • Ci deve essere un'attività economica;
  • Sussiste uno scopo di divisione di utile, ma c'è l'obbligo del perseguimento di una o più finalità di beneficio comune.

Se teniamo bene a mente questi cardini ermeneutici e rileggiamo l'articolo 41 della Costituzione (“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.), con questo tipo di società, ci troviamo innanzi ad un'attuazione di quell'articolo, in quanto espressione concreta del dettato costituzionale secondo il quale "l'iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale” e, soprattutto, attuazione del principio secondo cui “la legge determina i programmi ei controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". A leggere l’articolato di legge sulle società benefit ritroviamo esauditi, infatti, tutti i principi del precetto costituzionale.

La visione è veramente di non poco momento. Se, infatti, ci riferiamo alla definizione di contratto di società contenuta nel codice civile (art. 2247: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili), esso non può che essere applicato, anche per espressa previsione legislativa, alla società benefit; per altro verso, però, come categoria concettuale/interpretativa, ci si dovrebbe riferire ai contratti a causa mista e questo perché, accanto allo scopo soggettivo della divisione dell'utile, nella società benefit si deve innestare lo scopo di beneficio comune, quale specifico codice genetico dell’istituto.

Il tutto rassomiglia alla società consortile, che contempla lo scopo mutualistico consortile, in uno con la possibilità di distribuzione dell’utile.
Sintetizzando, quindi, quello della società benefit è un contratto a causa mista, diverso evidentemente dal contratto di società, diverso ancora dalle società consortili, e portatore di una tipica funzione economica
Ma è proprio così? A ben vedere pare essere il concetto di utile a mutare; in sostanza siamo innanzi ad un contratto di società con cui i soci non solo mirano a dividere gli utili ma anche a condividerli.

Pare infatti che, accanto allo scopo di lucro oggettivo e soggettivo con tutte le relative possibili declinazioni, ci troviamo innanzi ad un contratto tipico, che non è a causa mista, ma continua ad essere un tipico contratto di società nel quale l’utile, oltre ad essere diretto sui soci (lucro soggettivo) e sulla società (lucro oggettivo), è pure indiretto ed esterno.

Questa è una categoria concettuale nuova e ciò perché si assiste (rectius: si deve assistere per espressa previsione di legge) ad una sorta di “travaso dell'utile”, con il risultato che lo scopo utilitaristico della società benefit non è più solo interno ma deve essere anche esterno.

Tale ricostruzione tiene anche sotto un altro profilo, quello attinente la responsabilità degli amministratori. L'attività benefit, infatti, deve essere specificatamente indicata nello statuto, nell’attività sociale della società, e non è una generica inclinazione (e sotto questo aspetto la socità benefit è radicalmente diversa dalle b-corp- marchio di qualità- o dalla fenomenologia complessiva della responsabilità sociale d’impresa) .

In tale contesto, la gestione della società ad opera dell’ organo amministrativo deve essere improntata al bilanciamento degli interessi e quindi in modo da bilanciare, appunto, l'interesse dei soci, il perseguimento di finalità di beneficio comune, e gli interessi delle categorie di volta in volta considerate, con l'obbligo di individuare i soggetti responsabili per questo ramo di attività. Laddove l'amministratore non si comporti coerentemente, scatta il regime di responsabilità degli amministratori di una spa o di una srl tradizionali in quanto la dinamica descritta è contenuta nello statuto e nelle finalità sociali, rispetto alle quali gli amministratori sono soggetti attuatori.
Il sistema è obiettivamente coerente e chiuso in sè e mi piace chiamarlo sistema, perché è veramente un sistema di equilibri di responsabilità, di conseguenze, sia sulle compagini sociali esistenti piuttosto che nell'acquisizione di nuovi soci.

Cerchiamo di evidenziare alcuni aspetti tecnici
Se la società benefit deve essere società di capitali e se la si costituisce ex novo come società benefit, non sorgono particolari problemi: c'è già una condivisione, una coscienza da parte dei soci che si tratta di una società benefit e che le finalità sono geneticamente “due”. Il problema si può porre nel caso dell'acquisizione o della dismissione della qualifica, perché in tali casi scatta in automatico il diritto di recesso del socio, in quanto, in entrambi i casi, vi è una mutazione dello scopo sociale che rende incontestabile la possibilità dell'esercizio del diritto di recesso.

Sotto il profilo aziendale, occorre forse una riflessione da parte della compagine sociale che decide di diventare benefit, perché si potrebbe assistere ad una un'emorragia interna in quanto alcuni soci, interessati alla sola massimizzazione del profitto, potrebbero a buon diritto abbandonare (recesso) la società.

Un altro aspetto riguarda, viceversa, la srl, (ma c'è un pendant anche nelle società per azioni), che può prevedere anche particolari diritti amministrativi e patrimoniali del socio (in statuto posso prevedere che il socio A abbia il potere di nominare l'amministratore delegato indipendentemente da tutto, oppure che il socio B pur avendo il 20% del capitale sociale può ricevere utili per il 30%). Questa plasmabilità della srl può, non tanto mediante il meccanismo dei diritti patrimoniali, quanto piuttosto dei diritti amministrativi, riuscire a blindare, rafforzare il profilo benefit, magari dando il potere a uno dei soci di nominare proprio quel necessario responsabile del settore benefit, quale particolare espressione del diritto amministrativo del socio di srl.

Si può ottenere lo stesso risultato con la spa? E' più articolato: il codice permette le azioni a voto plurimo e le azioni a voto limitato. Allora perché non pensare di utilizzare questo strumento in funzione proprio di quel bilanciamento di interessi cui sono chiamati gli amministratori?

Vi è un altro istituto che potrebbe nelle spa irrobustire e istituzionalizzare il profilo benefit: le spa possono costituire patrimoni destinati a specifici affari.
Ora, che lo scopo benefit rientri nel concetto di affare è innegabile nel momento in cui è attività tipica e incardinata nell'oggetto sociale, ed è altrettanto innegabile che si possa/debba tradurre in uno specifico affare.
La spa, quindi, per aggregare risorse su uno specifico affare benefit potrebbe dar vita ad un patrimonio destinato, senza disaggregare la compagine degli azionisti, e ciò perché coloro i quali partecipano allo specifico affare non entrano nel capitale sociale, ma partecipano a quello specifico affare con quella linea di finanziamento, con quel patrimonio destinato. Questa dinamica può essere un ulteriore strumento volto a controbilanciare la tipicità del perseguimento dell'oggetto sociale, l'attività produttiva, e rafforzare anche tecnicamente il profilo benefit.

Da ultimo due considerazioni.
Trasformazione: è stata introdotta ormai nel 2004 la trasformazione eterogenea, quindi da società di capitali ci si può trasformare in ente non commerciale, come pure il contrario. In questi casi non credo si possano porre dei problemi laddove una Fondazione-Associazione voglia trasformarsi, in ragione dell'attività in concreto esercitata, in società benefit. Anzi, in questo tipo di società è rintracciabile una sponda molto più agevole, molto più coerente, molto più in linea con gli scopi originariamente perseguiti dall’ente non commerciale, che trovano collocazione proprio nell’ “alveo benfit” della società (non vanno dispersi insomma).
Collegamento tra enti non commerciali e le società strumentali: il binomio associazione-fondazione e società strumentale è ormai sempre più rintracciabile quale sistema operativo. E’ però intuitivo come la società benefit sia per sua natura assai più contigua, in contesto commerciale, al socio ente non commerciale. Immaginandosi, infatti, una associazione/fondazione che sia socio di maggioranza ( o di minoranza a poco rileva, in quanto si possono prevedere i particolari diritti amministrativi, se srl, ovvero le citate categorie di azioni, se spa) di una società che, oltre allo scopo di distribuire utili, preveda una attività benefit identica allo scopo di pubblica utilità del suo socio, si potrebbero evitare “acrobazie” per delineare un oggetto sociale strumentale che sia nel contempo compatibile con socio ente non commerciale. Con la società benefit il problema non sussiste a tutto vantaggio di una chiarezza di sistema.

Se quanto descritto si applica al recupero funzionale, valorizzazione, promozione e pubblica fruizione di beni culturali immobili (sia in via principale, sia in via strumentale rispetto all’ente proprietario) la conclusione non può che essere positiva. Un bene culturale immobile sintetizza, in un unicum indissolubile, due profili: è un bene immobile ed è culturale, testimonianza di civiltà; la Società Benefit sintetizza, in un unicum indissolubile, due profili: è una società commerciale pura (gestione bene immobile, muri, recupero funzionale) che persegue obbiettivi di beneficio comune (valorizzazione, promozione, pubblica fruizione). Sul primo fronte, La società benefit può attirare investitori puri, con remunerazione dell’investimento pari a quella che può offrire un progetto di lottizzazione (mi si perdoni la brutalità); ma questa dinamica commerciale deve però essere bilanciata, se non convertita, a finalità di beneficio comune (valorizzazione, promozione e fruizione) per espressa previsione dello statuto, la cui frustrazione prevede serie conseguenze in capo agli amministratori. Non a caso l’intervento nel settore bei beni e delle attività culturali è stato previsto dal legislatore quale attività benefit. Poco credo sia da aggiungere.

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