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  • Pubblicato il: 28/06/2013 - 10:27
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Gian Gavino Pazzola

Roma. Si è aperta una stagione nuova nel segno del bene comune, delle sperimentazioni innovative, di altri modelli di sviluppo e di relazione. Una scommessa politica e culturale, una  voglia di differenza e di distacco dal presente «indifferente» che nella città capitolina trova il fulcro nell’attività di realtà orientate alla condivisione, all’intelligenza collettiva e alla partecipazione. Insieme a Cecilia Canziani e Ilaria Gianni, curatrici della fondazione, approfondiamo le attività di Nomas Foundation che, in collaborazione con Teatro Valle Occupato, ha organizzato A Theatre Cycle, un ciclo di tre eventi dal vivo e due laboratori dedicato al rapporto tra arte visiva e teatro. Un progetto di approfondimento iniziato a marzo che sta giungendo al termine con il laboratorio  Common Archive School di Marinella Senatore, appuntamento che segue Io in testa, Cantiere Comune di Immaginario Politico, laboratorio-performance appena concluso da Marzia Migliora e Luigi Coppola. Una ricca programmazione che ha visto passare per la Capitale artisti come Karina Bisch, Keren Cytter, Linda Fregni Nagler, Anja Kirschner & David Panos, Laurent Montaron, Tino Sehgal, Marcella Vanzo, Ulla von Brandenburg, Clemens von Wedemeyer & Maya Schweizer in una piattaforma partecipata per lo studio delle nuove pratiche artistiche.

Chi è la Nomas Foundation e quale strategia segue a livello di investimenti e acquisizioni?
Nomas Foundation ha l'obiettivo di sostenere e promuovere la ricerca artistica contemporanea. E’ un organismo mobile, flessibile, in grado di accogliere le differenze quale valore da sostenere e promuovere. Nata nel 2008 dall’esperienza personale di una collezione, la fondazione è impegnata in un’attività di tipo sperimentale e valuta a seconda dei casi, la sostenibilità di progetti rispetto ai quali la collezione diventa un elemento secondario. Collezione e fondazione in altre parole sono due soggetti del tutto distinti e indipendenti, la collezione è seguita personalmente da Stefano e Raffaella Sciarretta, fondatori della Nomas, ma in comune c’è una resistenza a concetti come strategia e investimento, parliamo più volentieri di attenzione, curiosità, interesse, passione.

Per la programmazione, invece?
Il programma riflette sul linguaggio dell’arte contemporanea attraverso mostre con artisti nazionali e internazionali, talk e seminari con esponenti della cultura contemporanea, attività di ricerca e formazione in collaborazione con scuole ed accademie presenti sul territorio, e residenze con curatori critici e artisti.

La fondazione investe in educazione? Potreste parlarmi del progetto Joan of art?  L’esperienza del 2012 con Mike Watson era molto interessante.
Joan of art rientra nel nostro programma di residenze, pensate come occasioni per approfondire il dialogo tra il programma della fondazione e il pubblico, attraverso uno sguardo esterno. Ci interessa il tema dell’educazione da sempre e tutti i nostri progetti sono accompagnati da una sezione propriamente didattica. Ad esempio adesso, al termine del progetto A Theatre Cycle che abbiamo realizzato con il Teatro Valle Occupato, coinvolgendo artisti come Ulla von Brandebur, Keren Cytter, Linda Fregni Nagler, Tino Seghal, Clemens von Wedemeyer, Karina Bisch, Marcella Vanzo e Lauren Montaron, abbiamo attivato due laboratori, uno appena conclusosi con Luigi Coppola e Marzia Migliora, uno con Marinella Senatore che inizierà il 25 giugno. Sono momenti di approfondimento e che conservano allo stesso tempo la loro autonomia all’interno della ricerca e della poetica degli artisti coinvolti. Per tornare a Joan of Art, ci è sembrato importante in questo caso funzionare come incubatore d’idee: la residenza di Mike Watson aveva l’obiettivo di offrire tempo e spazio perché potesse condurre le proprie ricerche e lavorare a uno start up del suo progetto sull’educazione che proseguirà nei prossimi anni. Anche questo è un compito che una fondazione può assolvere.

Ci sono dei progetti che danno fiducia anche al mondo dell’arte più giovane? È uno sforzo concentrato sul territorio romano o considera giovani di tutte le realtà?
Crediamo che dimensione locale e internazionale debbano essere sempre messe in relazione perché una nutre l’altra. Cerchiamo quindi di rivolgerci sempre al territorio, ma con uno sguardo ampio e che tenga in considerazione le sue specificità come occasione di dialogo fertile con quelle ricerche che arrivano da altrove. Essere cittadini di un mondo ormai globale ha un vantaggio, ci ha finalmente insegnato che siamo tutti sempre e allo stesso tempo centro e periferia. Poter abitare entrambe le posizioni è una grande ricchezza, e noi cerchiamo di darne conto attraverso progetti diversi, con obiettivi differenti ma sempre interconnessi.

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