Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

MaXXI, l’astronave non è più un ufo

  • Pubblicato il: 15/12/2018 - 07:49
Autore/i: 
Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Franco Fanelli, da Il Giornale dell'Arte numero 392, dicembre 2018

Nel 2019 il museo compirà il suo decimo anno di attività: il bilancio di Giovanna Melandri, che lo ha creato e ora lo presiede
Rubrica in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Firenze


Roma. Il MaXXI non era ancora nato e già era bersagliato da polemiche: prima sul progetto, considerato inadatto perché, stando ai detrattori, pieno di scale e di spazi curvi: poi sui costi di costruzione, 150 milioni di euro, una cifra triplicata rispetto ai 110 miliardi di vecchie lire preventivati (il progetto era stato approvato undici anni prima dell’inaugurazione, avvenuta il 27 maggio 2010).

Poi nell’occhio del ciclone finì la Fondazione che tuttora lo gestisce: nel 2012 il museo venne commissariato; seguirono le dimissioni del presidente della Fondazione, Pio Baldi. Quattro anni fa la Johan & Levi pubblicava un pamphlet nel quale Alessandro Monti, professore universitario di Teoria e politica dello sviluppo, stigmatizzava in toni demolitivi la conduzione economica e culturale del MaXXI.

L’attuale presidente, Giovanna Melandri (New York, 1962), ha più volte ribadito che il MaXXI nacque, nel 1999, da una sua idea. Ma questo non bastò, all’atto della sua nomina nel 2012 da parte di Lorenzo Ornaghi, allora ministro per i Beni Culturali, a evitarle una tempesta di critiche bipartisan. Ora il MaXXI, sotto la sua guida, sta per entrare nel suo decimo anno di attività.

Giovanna Melandri, il MaXXI rientra in quel territorio in cui il rapporto tra politica e cultura si fa molto stretto. Quanto può essere positiva e quanto deleteria questa relazione?
Bisogna sempre distinguere tra l’indirizzo, la visione, le politiche culturali e l’autonomia curatoriale che per me è sacra. Questa è stata la mia stella polare negli anni in cui ho avuto l’onore di fare il Ministro dei Beni culturali e anche oggi mi indica la linea di demarcazione tra le funzioni non solo del Presidente del MaXXI ma anche del Consiglio di Amministrazione. Il MaXXI ha uno statuto che chiarisce bene ruoli e funzioni: il Consiglio approva il budget, la programmazione annuale e triennale, ha il compito di garantire la coerenza tra obiettivi strategici, programmazione e risorse ma certamente non entra nelle scelte curatoriali. Qui stiamo sperimentando un modello (che è poi quello del New Museum di New York o della Serpentine Gallery di Londra) con un presidente manager, un direttore curatore, Hou Hanru, e un team curatoriale. Tutti i ministri con cui abbiamo lavorato finora, da Ornaghi a Franceschini passando per Bray, hanno profondamente rispettato questo modello e anche con l’attuale ministro Bonisoli l’avvio della collaborazione è stato positivo.

Quanto è stato fatto dal 2010 a oggi?
Provo a rispondere su quanto è stato fatto dal 2013, anno in cui sono diventata presidente. Ci siamo chiesti, con il direttore artistico Hou Hanru e con i direttori del MaXXI Arte Bartolomeo Pietromarchi e del MaXXI Architettura Margherita Guccione, quali fossero funzione, ruolo e missione di un’istituzione per il contemporaneo che ha radici romane, profilo e missione nazionale e sguardo internazionale. Le risposte sono tutte nella programmazione di questi anni.Il primo grande tema è la centralità della collezione pubblica permanente: ampliarla, conservarla e renderla fruibile è il nostro principale obiettivo. Dal 2013 a oggi, la collezione si è arricchita di 240 nuove acquisizioni (di cui ben 70 solo nel 2018) tra opere d’arte, progetti fotografici, archivi e modelli di architettura. Abbiamo appena inaugurato il nuovo allestimento della collezione con un’intera sezione dedicata alle nuove acquisizioni. Il valore della collezione di oggi è sei volte quello iniziale. Questo risultato è frutto del grande lavoro di questi anni, fatto in più direzioni. Attraverso il Premio MaXXI, per esempio, che ora vede al nostro fianco un grande partner privato come Bulgari, sono entrate in collezione opere di artisti quali Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft, Nico Vascellari, Rossella Biscotti, Marinella Senatore e, quest’anno, Diego Marcon. Quasi tutte le mostre, inoltre, sono costruite e pensate con l’idea di arricchire la collezione, attraverso committenze e la realizzazione di opere site specific. Un altro grande tema attorno al quale stiamo lavorando con passione si deve a un’intuizione di Hou Hanru, che da 5 anni ha avviato una riflessione sul Medio Oriente e sul Mediterraneo, nella convinzione che oggi un museo debba essere anche luogo di ricerca, capace di interrogarsi sulla sua possibile funzione geopolitica. Il museo nazionale di arte contemporanea di un Paese come l’Italia è anche un avamposto di ricerca verso i nostri vicini. Da questa idea sono nate mostre come quelle su Beirut, su Istanbul, fino alla più recente che ci ha portato a posare lo sguardo sull’Africa e sulla sua energia creativa. L’anno prossimo sarà la volta di una grande mostra sui Balcani e probabilmente poi toccherà al Maghreb. Questa istituzione può anche giocare un ruolo importante di diplomazia culturale. L’arte e la cultura sono formidabili strumenti da attivare quando si vogliono allargare le possibilità di dialogo nel contesto delle relazioni internazionali. Oggi sento più che mai urgente questa funzione. Il MaXXI si è messo al servizio di questo obiettivo, ospitando le comunità artistiche di questi Paesi ma anche promuovendo da loro la nostra comunità artistica. Un altro dei grandi filoni di attività è stato quello di collocare il MaXXI nella mappa delle relazioni internazionali. In questi anni, con il progetto «Expanding the horizon MaXXI in the world», le mostre del MaXXI hanno viaggiato n Cina, in Corea, in Argentina. In ottobre abbiamo presentato a Delhi, in occasione del Tech Summit e all’interno della Missione di Sistema italiana in India, la nostra grande mostra «Extraordinary Visions», mentre a Villa Audi a Beirut e al Bardo di Tunisi con «Classic Reloaded» abbiamo messo in dialogo le reciproche collezioni. Prossima tappa: il Marocco e poi Valencia e Berlino. Tutto questo si chiama, usando una terminologia un po’ «aziendalese», incoming e outcoming, attrarre e valorizzare ciò che accade fuori dai nostri confini, e far conoscere e valorizzare la creatività contemporanea italiana all’estero, facendo di tutto ciò uno strumento di dialogo, di conoscenza, di esplorazione di futuri possibili.

L’incoming e l’outcoming riguardano anche l’arte italiana?
Facciamo la nostra parte di istituzione nazionale in un quadro ricco di iniziative, con l’lItalian Council, le fondazioni private, naturalmente la Biennale e la Triennale. Ma l’arte contemporanea italiana viaggia nel mondo anche con il MaXXI, come è giusto che sia. La valorizzazione della scena italiana costituisce il terzo grande filone di ciò che secondo noi deve fare un museo nazionale: e mi fa piacere sottolineare come il 2019 sarà un anno nel quale metteremo al centro, tra l’altro, grandi artiste italiane come Paola Pivi e Maria Lai. Sono molto soddisfatta che, soprattutto grazie all’arrivo di Pietromarchi, la ricerca sugli artisti italiani si stia rafforzando, e non solo con le mostre, ma anche con progetti globali e internazionali che li coinvolgono.

Quanto pagate una linea che limita la presenza dei grandi nomi?
Le star e lo spettacolo hanno un’utilità, perché avvicinano al contemporaneo un pubblico più vasto. Certo non è la pista su cui Hou Hanru si sta cimentando. Questo non significa che non si possa avere un pubblico anche numeroso: per il 2018 stimiamo un complessivo +10% nel numero dei visitatori, in linea con l’aumento costante registrato negli ultimi cinque anni. Più in generale, pensiamo che siano molti e diversi i modi per far crescere il pubblico: abbiamo ospitato e stiamo ospitando sia mostre su figure note e apprezzate come la retrospettiva dedicata a Bruno Zevi, la monografica di Huang Yong Ping, Maurizio Nannucci, Piero Giraldi, Lara Favaretto, Allora & Calzadilla, la personale di Paolo Pellegrin, la mostra di Zerocalcare che sta portando al museo un pubblico giovane e appassionato di nuovi linguaggi, sia mostre su temi di rilievo come quelle sull’Africa («African Metropolis» e «Road To Justice») o «Low Form», dedicata al rapporto tra arte e Intelligenza Artificiale. E poi penso a «Gravity», la mostra curata anche da Tomás Saraceno e frutto dell’inedita cordata tra MaXXI, INFN e ASI, al Premio MaXXI BVLGARI e alla Collezione che, dal martedì al venerdì, si può visitare con ingresso libero. Intorno alle nostre mostre si sviluppa un ampio programma di incontri non solo con artisti, architetti e fotografi (Calatrava, Botta e Koolhaas solo nelle ultime settimane) ma anche filosofi (Cacciari e Floridi) o psicoanalisti (Recalcati e Castriota). Non cerchiamo la spettacolarizzazione, è vero, credo che non sia la funzione di un’istituzione nazionale, peraltro in parte finanziata con risorse pubbliche. Però cerchiamo di andare incontro al pubblico e di offrire sempre di più un luogo di pensiero da cui si può uscire trasformati, arricchiti.

E l’architettura?
Cerchiamo di non separare il museo in due metà. La ricerca nell’arte e nell’architettura si intreccia costantemente, è unitaria. Stanno arrivando delle grandi mostre; la prima, curata da Hou Hanru e che apriamo il 7 dicembre, s’intitola «La strada. Dove si crea il mondo» in cui arte e architettura saranno insieme (cfr. l’articolo nella sezione «Mostre» in questo numero del GdA). È una sfida grande per noi perché è un progetto multidisciplinare che procede lungo la strada già avviata con «Open Museum, Open City» del 2014 e rinforza la nostra missione di istituzione culturale pubblica che si apre alla città che la ospita e alla comunità che la vive. Poi ci sono le ricerche monografiche, come quella già citata di Bruno Zevi e prossimamente un focus su Aldo Rossi: sono occasioni in cui facciamo un lavoro istituzionale molto importante. Abbiamo acquisito molti archivi storici del ‘900, recentemente anche quello di Paolo Portoghesi, e offriamo a ricercatori e studiosi un servizio sempre più richiesto. E poi c’è YAP, Young Architects Program, il progetto per il sostegno ai giovani architetti che, dal 2010, è in collaborazione con il MoMA.

Come organizzate la didattica?
Innanzitutto attraverso una ricca e molto apprezzata offerta di laboratori e progetti per bambini, ragazzi, ma anche famiglie e adulti, progettati internamente per valorizzare i temi delle mostre e della collezione e renderli accessibili ai diversi pubblici. Sono oltre 900 gli appuntamenti organizzati nel 2018 che hanno coinvolto 23mila partecipanti. Inoltre, sono molto fiera del successo del progetto sull’alternanza scuola-lavoro.

Che in Italia non funziona.
Invece al MaXXI funziona eccome! Abbiamo coinvolto dal 2016 ad oggi 25 scuole e oltre 1.000 studenti tra i 16 e i 18 anni che hanno preso parte al programma «MaXXI A(r)t Work», ragazzi a cui mostriamo i diversi mestieri legati alla produzione del museo, nativi digitali che coinvolgiamo con successo a trasformare gli stimoli culturali di una settimana di viaggio nel Museo in narrazioni di straordinaria efficacia. Ma siamo attivi anche sull’alta formazione, comprensiva, ad esempio, di workshop come «Città come cultura». Il MaXXI è diventata negli anni un’agenzia di formazione, che lavora anche sui confini tecnologici, penso a Museum Booster, l’hackaton del MaXXI dedicato alle idee e ai servizi innovativi per i musei che tra il 2017 e il 2018 ha visto confrontarsi un mix di professionalità e competenze che va dagli sviluppatori agli storici dell’arte. L’attività di animazione culturale però è destinata a tutti i pubblici su temi che vanno dall’arte e la psicanalisi all’architettura delle periferie. Il cantiere non è solo nostro, collaboriamo con molte istituzioni. Io credo nella cooperazione e cocreazione nel mondo della cultura. In un quadro simile si inserisce anche la collaborazione con Deutsche Bank, che ogni anno conferisce il premio «Artist of the Year», andato quest’anno a Caline Aoun, cui abbiamo dedicato una mostra e di cui un’opera è entrata nelle nostre collezioni.

Che cosa fa il presidente del MaXXI?
Il mio ruolo adesso è far girare ogni giorno e alla giusta andatura la ruota. Noi prevediamo di chiudere il 2018 con circa 16 milioni di ricavi. Erano poco più di 7 quando sono arrivata. Dico di più: quando ho cominciato a lavorare qui il 70-72% delle risorse andava alla spesa corrente, non alla nostra funzione istituzionale. Nel bilancio consultivo 2017 siamo fifty-fifty, credo che nel 2018 faremo ancora meglio, stiamo avviandoci verso il 60-40%. Vuol dire che oggi oltre il 50%, ma tendenzialmente fino al 60% del bilancio va alla nostra missione istituzionale che è fare mostre, produrre cultura, acquisire opere. L’altro dato è il rapporto pubblico-privato, altra grande sfida. Alla mia nomina, il finanziamento era 75% pubblico e 25% privato; oggi siamo a un rapporto 40-60%, dove il 60 è pubblico e 40 risorse private, compresi anche biglietti e sponsor. Qui ci sono ancora tanti spazi di miglioramento. Ma sono fiera del lavoro fatto. Abbiamo ridotto gli sprechi, investito moltissimo sulle risorse umane, sulle persone. Al MaXXI lavora una squadra di grandi professionisti, quasi tutte donne! Il mio ruolo è stato quello di costruire una rete di sostenitori, gli Amici del MaXXI italiani, e anche un gruppo importante di American Friends of MaXXI; stiamo istituendo i Chinese Friends of MaXXI; abbiamo un gruppo a Londra e a Parigi. Abbiamo introdotto la consuetudine di fare ogni anno un grande gala di fundraising, nel 2018 siamo alla sesta edizione, dedicata a L’Aquila. Finora, solo con il gala, abbiamo raccolto circa 1,9 milioni di euro. In questi anni abbiamo stimolato l’afflusso di risorse private: passo decisivo è stato l’ingresso di Enel come primo socio fondatore e ora ci dedicheremo a coinvolgere anche altri soci, mantenendo sempre la nostra mission. Abbiamo molte relazioni con fondazioni private e con il mondo del collezionismo, con cui abbiamo in corso scambi e comodati: la nostra stella polare, sottolineo ancora, è accrescere la collezione nazionale pubblica. Da legge costitutiva del ’99 noi usufruiamo di metà delle risorse del piano per l’arte contemporanea che vengono destinate proprio alle acquisizioni.

Cosa che spesso vi viene rinfacciata.
Si riconosce o no l’esigenza che ci sia un Museo nazionale per l’arte e l’architettura contemporanea al pari di quelli esistenti in altre realtà nazionali? Io penso di sì e di conseguenza penso che sarebbe auspicabile far crescere le risorse pubbliche per le acquisizioni. È vero che abbiamo avuto con la passata legge di bilancio un piccolo aumento di risorse pubbliche, ma è altrettanto vero che oggi le risorse a disposizione del Museo Nazionale d’Arte contemporanea per accrescere la collezione non sono ancora lontanamente paragonabili, non dico alla Tate o al Beaubourg (dovremmo moltiplicare per 10 in quel caso), ma nemmeno al Reina Sofía che ne ha tre volte tanto. Al MaXXI, comunque, non ci adagiamo nemmeno un minuto sulle risorse pubbliche. La sfida è far crescere risorse pubbliche e private insieme, in un contesto efficiente.

Ad esempio?
Scegliendo di non comprare alle condizioni del  mercato. E visto che voglio togliermi qualche sassolino dalla scarpa, ho l’impressione che tanti mal di pancia siano scaturiti anni fa dal fatto che io lo abbia dichiarato apertamente. Il MaXXI produce e producendo acquista, acquisisce producendo. Anche in collaborazione con il sistema delle gallerie, ma sempre sulla nostra linea di ricerca. Lei mi chiede che cosa faccio dalla mattina alla sera? Cerco sponsor, partner, collaborazioni. Da quando sono arrivata, davanti ai numeri c’è sempre il segno «+» su tutti i progetti. È chiaro, non si passa da 100mila a un milione in un anno. Per me quello che è importantissimo è che abbiamo chiuso settembre con un +17,03 sui biglietti. E poi c’è un altro dato. Sebbene prima dell’estate abbiamo aumentato da 8 a 9 euro il biglietto ridotto, non solo non vi è stata una flessione nella vendita, ma abbiamo al contrario incassato di più.

Ultimamente vi pestate un po’ i piedi con la Galleria Nazionale...
Quando nacque il MaXXI, l’idea del legislatore era che fosse il Centro Nazionale per le arti contemporanee e quindi una sorta di «prosecuzione» della Galleria Nazionale d’arte moderna. In quanto tale, doveva rafforzare la politica e la collezione, soprattutto la collezione nazionale dell’arte del XXI secolo come da nome stesso dell’istituzione. È normale che ci sia un terreno di ricerca comune, anche di sovrapposizione. Per me è importante però che non si smarriscano le missioni istituzionali di entrambe le istituzioni. Io penso che ogni visitatore in più al MaXXI o alla Galleria Nazionale sia una vittoria di tutti. Noi spingiamo per una maggiore collaborazione proprio perché crediamo che questo sia utile per il sistema. Forse dobbiamo ridefinire gli ambiti in particolare in relazione al lavoro di crescita e conservazione delle collezioni.

A che punto è il MaXXI L’Aquila?
Noi abbiamo risposto con entusiasmo a una chiamata istituzionale per questo progetto, abbiamo messo le nostre competenze a disposizione a partire da quando, tre anni or sono, il Ministero dei Beni Culturali lanciò l’idea di trasformare un meraviglioso palazzo settecentesco, mirabilmente restaurato grazie a un finanziamento del Governo russo, in una piattaforma di creatività contemporanea, al servizio della rinascita della città, in grado di proiettare L’Aquila nella scena della produzione di arte contemporanea. L’anno scorso il Parlamento ha deciso di accordare per sei anni un finanziamento a questo progetto e da gennaio abbiamo cominciato a lavorare in rapporto strettissimo con il territorio, con l’amministrazione, la città, il sindaco, la Regione, ma anche con le istituzioni culturali che rendono L’Aquila un centro innervato di una ricchissima presenza culturale e scientifica. Non abbiamo mai pensato che servisse un museo calato dall’alto. Abbiamo alcune idee naturalmente, e alcune frecce all’arco di questo progetto già sono state scoccate. La prima è stata la committenza a Paolo Pellegrin in concomitanza con la mostra, curata da Celant, che stiamo ospitando. Gli abbiamo chiesto una produzione site specific per L’Aquila e poi ci sono sei artisti che stanno già lavorando con noi (Benassi, De Lorenzo, Garutti, Nunzio, Potemkina e Spalletti). Ovviamente ho chiesto al nuovo Ministro di valutare ogni ipotesi. Lo dico perché sono già nate alcune polemiche. Non abbiamo nessuna primogenitura, siamo al servizio di un progetto; abbiamo lavorato intensamente e costruito il terreno su cui farlo partire nell’interesse del territorio e del sistema culturale italiano.

Che cosa manca ancora al MaXXI?
Innanzitutto occorre diversificare maggiormente i pubblici che vogliamo attrarre. Lavoriamo tantissimo costruendo un’offerta culturale sempre legata alle mostre e alla collezione, ma che ampli il bacino di interesse e di utenza. Faccio un esempio: in questo momento abbiamo una mostra molto interessante sull’Intelligenza Artificiale attorno a cui stiamo aprendo un confronto con filosofi, scienziati, ingegneri, psicanalisti. Sono convinta dell’importanza del confronto con altre discipline e in questo senso voglio fare di più e meglio. Forse dando più ordine a quello che facciamo. Un secondo punto è la crescita del pubblico romano: il 51% non è italiano, il 49% è italiano, ma solo il  25% è romano. Io dico sempre che se il MaXXI fosse un’astronave che atterrasse in un’altra città, forse avremmo altri risultati. Il Comune dovrebbe sostenerci di più: non riusciamo nemmeno a mettere una cartellonistica adeguata! Ora stiamo lavorando per accrescere e fidelizzare il pubblico romano con la card MyMaXXI (un abbonamento che consente l’ingresso gratuito per un anno) già con buoni risultati. Infine, dovremmo fare ancora di più rispetto alle coproduzioni e alle partnership con musei e istituzioni internazionali, che è il modo migliore di portare la ricerca del MaXXI nel mondo e di aprirsi alla contaminazione con laboratori di pensiero lontani e vicini. 
 

da Il Giornale dell'Arte numero 392, dicembre 2018