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La resilienza economica della cultura e della creatività

  • Pubblicato il: 14/05/2015 - 18:16
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita
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Nel contesto della grande Crisi, alcuni settori produttivi hanno dimostrato di saper reagire meglio di altri in condizioni avverse. Tra questi, le attività culturali e creative fanno registrare un grado di resilienza superiore alla media, secondo quanto riportato da numerosi studi. Una recente ricerca promossa dalla Direzione Generale per l'Istruzione e la Cultura della Commissione Europea analizza il grado di resilienza delle professioni appartenenti ai settori culturale e creativo, nei 28 Stati Membri. Fondazione Cariplo con il programma «Comunità resilienti» lavora sui processi di capacitazione, partendo dal basso
 
 
L'uscita sul mercato americano e anglosassone - nei primi mesi del 2015 - del volume di Scott Timberg sulla crisi della classe creativa (Culture Crash. The Killing of the Creative Class, Yale University Press (1) ha messo in evidenza le drammatiche conseguenze sul settore provocate dal perdurare di una congiuntura economica negativa, svelando le molteplici difficoltà che i lavoratori creativi sono oggi chiamati ad affrontare per riuscire ad assicurarsi uno stile di vita dignitoso.
A tale proposito, Timberg osserva che a essere in pericolo non è solo la sopravvivenza di un'intera fascia di creativi desiderosi di appartenere alla «middle class», ma l'esistenza stessa di quella prospettiva critica e indipendente da cui l'arte trae origine, minacciata dall'aggravarsi delle disuguaglianze sociali che stanno trasformando il mondo culturale in una enclave elitaria, a esclusivo uso e consumo di ricchi e benestanti. Ovviamente, prosegue Timberg, nessuno può garantire che dipingere oppure suonare uno strumento renderà degli esseri umani più virtuosi, ma molto probabilmente la presenza di una classe creativa, diffusa e numerosa, può giocare un ruolo importante nel rendere migliore la società in cui viviamo. Una società che, in particolar modo nelle cosiddette economie avanzate, continua a mostrare i segni tangibili di una crisi economica globalizzata come il mercato che l'ha generata. La caduta del Prodotto Interno Lordo, l'aumento galoppante del tasso di disoccupazione e il progressivo impoverimento della classe media sono stati gli effetti maggiormente visibili e quantificabili di un evento che, per la brutalità dei danni causati, è stato assimilato a una catastrofe naturale di enormi proporzioni. A partire da tale corrispondenza, c'è stato un recente fiorire di studi interessati a misurare il grado di resilienza di determinati contesti geografici rispetto alla situazione emergenziale prodotta da un sistema economico e finanziario fuori controllo.
Tradizionalmente usato nell'ambito della fisica e delle scienze naturali per valutare la capacità di un sistema di saper affrontare i cambiamenti ripristinando l'equilibrio iniziale, il concetto di resilienza trova oggi applicazione in una miriade di campi di studio che abbracciano discipline come la psicologia e il management. La sua versatilità, e al tempo stesso la sua stringente attualità, hanno portato Stephane Hallegatte di World Bank a elaborare la nozione di «resilienza economica» (2), definita come la combinazione di una resilienza macroeconomica e di una resilienza microeconomica, che congiuntamente contribuiscono a rendere un'economia maggiormente resistente ai danni provocati al proprio sistema di welfare da un insieme di fattori esogeni ed endogeni, facendo emergere il carattere olistico di un fenomeno che non si limita a esplorare le dinamiche economiche ma che ha implicazioni rilevanti anche sulla struttura sociale e sulle politiche, che giocano un ruolo fondamentale nel favorire oppure nell'ostacolare la resilienza a determinati fenomeni, siano essi di natura finanziaria, ambientale, sociale oppure culturale(3).
In questo filone d'indagine si inserisce la ricerca promossa dalla Direzione Generale per l'Istruzione e la Cultura della Commissione Europea sulla resilienza della classe creativa. Lo studio curato da Giulio Stumpo e Robert Manchin dell'European Expert Network on Culture (EENC), dall'evocativo titolo «The resilience of employment in the Culture and Creative Sectors (CCSs) during the crisis», intende analizzare il grado di resilienza delle professioni appartenenti ai settori culturale e creativo durante un lasso temporale che va dal 2008 al 2013, con l'intento di dimostrare la tesi secondo la quale i lavoratori creativi, abituati per definizione a districarsi in un ambiente in costante evoluzione, hanno saputo affrontare e resistere meglio di altri a una recessione economica prolungata e dalle prospettive incerte, in virtù della loro ingente duttilità e della loro propensione ad agire secondo logiche e processi non lineari.
Il rapporto, reso pubblico a marzo 2015, esamina e confronta i dati disponibili sul mercato del lavoro dei 28 Stati Membri, arrivando alla conclusione che sebbene le attività culturali e creative abbiano risentito meno gli effetti dello shock economico, la maggiore velocità di reazione non ha reso tali professioni immuni dalle conseguenze negative generate da un'economia vulnerabile alla crisi finanziaria. Se da un lato è vero che le performance registrate dai lavoratori creativi mostrano una più alta resistenza ai fattori di rischio, dall'altro è necessario evidenziare come anche all'interno dei comparti produttivi connessi alla cultura e alla creatività, siano soprattutto le giovani generazioni a essere maggiormente penalizzate, con un decremento ad esempio pari a circa il 40% dell'occupazione giovanile nel solo comparto delle cosiddette «Publishing activities».
A seguito di un lungo periodo di stagnazione, l'Unione Europea si presenta come un territorio non omogeneo in cui la situazione varia notevolmente da paese a paese, rendendo difficile la stesura di quadro complessivo che possa essere effettivamente rappresentativo delle peculiarità di ogni singolo Stato. Tuttavia, al di là di tali differenze, la ricerca dell'EENC restituisce una accurata riflessione sulla capacità della cultura e della creatività di innescare processi virtuosi anche in contesti avversi, che trova ulteriore conferma in studi sviluppati in altri scenari, sia in termini geografici che tematici. Prova ne sono i risultati a cui giunge un approfondimento condotto nell'ambito del programma europeo ESPON – volto a favorire lo sviluppo delle politiche di coesione in Europa – sulla crisi economica e la resilienza delle regioni europee, in cui si asserisce esplicitamente che: «Employment losses have not been evenly distributed across sectors. Job losses during the crisis have been concentrated in the construction and the real estate sectors, reflecting the significance of the collapse in the property ‘bubble’. Other sectors that were badly affected included manufacturing industries and primary industries. On the other hand, the number of persons employed in ICT, professional, scientific and technical services and arts, entertainment, recreation and other services increased over this period».
A conclusioni simili approda un altro significativo lavoro di ricerca condotto da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne della University of Oxford, sul futuro del lavoro a fronte della crescente automatizzazione che minaccia l'esistenza di molte delle attuali professioni(5). Spronati ad approfondire l'annosa contrapposizione tra occupazione e sviluppo tecnologico dalla famosa previsione dell'economista John Maynard Keynes(6) - i due studiosi hanno analizzato il mercato del lavoro americano alla luce dei recenti progressi compiuti nel campo dell' intelligenza artificiale. Frey e Osborne hanno elaborato una nuova metodologia che ha permesso loro di stimare la probabilità di informatizzazione di 702 tipologie lavorative. Sulla base dei calcoli da loro effettuati, è emerso che circa il 47% delle attuali professioni sarà destinato a scomparire nel giro dei prossimi dieci/venti anni a conferma della profezia Keynesiana. Come sottolineato dagli stessi autori: «Our findings thus imply that as technology races ahead, low-skill workers will reallocate to tasks that are non-susceptible to computerisation – i.e., tasks requiring creative and social intelligence. For workers to win the race, however, they will have to acquire creative and social skills»(7)
A fronte di una sovra-struttura propensa a credere nella capacità della cultura e della creatività di contribuire in maniera determinante allo sviluppo di quelli che possono essere considerati i quattro pilastri su cui fondare la costruzione di un'economia resiliente – ossia la differenziazione dei mercati, l'acquisizione di elevate conoscenze e competenze, un alto livello di innovazione, e la presenza di un sistema di governo qualitativamente rilevante – viene da chiedersi l'Italia a che punto sia.
Se si prendono in considerazione i dati contenuti nello studio dell'EENC prima citato, appare abbastanza chiaramente che il nostro paese non occupa mai posizioni dominanti nel contesto europeo, lasciando trasparire una minore resilienza del panorama culturale e creativo italiano e del sistema economico nazionale nel suo complesso. Se questo da un lato ha contribuito a causare una bassa produttività che ha determinato a sua volta una scarsa competitività, un alto tasso di disoccupazione e un aumento del debito, dall'altro pone in evidenza l'urgenza di attuare programmi e politiche capaci di innalzare il livello di resilienza del nostro sistema paese.
In questo, alcune linee di finanziamento promosse da note fondazioni, come il programma «Comunità resilienti» lanciato dalla Fondazione Cariplo, insieme ad altre iniziative che stanno iniziando a sorgere nello stesso campo d'azione, possono offrire un valido ausilio al fine di contrastare il ristagno della nostra economia. Attraverso la promozione di iniziative che nascono dal basso, è possibile favorire l'emersione di progetti capaci al contempo di far leva sui bisogni di condivisione e partecipazione delle società contemporanee, e di rilanciare molti ambiti del benessere, tra cui in particolare l’istruzione e le competenze, l’occupazione, il reddito, e l’abitazione. Con molta caparbietà, e un po' di fortuna, anche in Italia l'economia del futuro potrebbe parlare la lingua della creatività e vincere le sfide dei prossimi anni.
 
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(1) Timberg Scott (2015), Culture Crash. The Killing of the Creative Class, Yale University Press, New Haven and London.
(2) Stephane Hallegatte (2014), Economic Resilience. Definition and Measurement, The World Bank - Climate Change Group – Office of the Chief Economist. Disponibile online al seguente link http://econ.worldbank.org
(3) Ibid.
(4) ESPON, Territorial Observation No. 12: “Territorial Dynamics in Europe - Economic Crisis and the Resilience of Regions”, September 2014, pag.6. Disponibile online al seguente link http://www.espon.eu/export/sites/default/Documents/Publications/TerritorialObservations/TO12_October2014/ESPON_Territorial-Observation_12-Crisis-Resilience.pdf “Le perdite in termini occupazionali non sono state ugualmente distribuite tra tutti i settori. La diminuzione dei posti di lavoro durante la crisi si è concentrata nei settori edilizio e delle costruzioni, riflettendo la rilevanza del collasso causato dallo scoppio della bolla immobiliare. Tra gli altri settori che hanno risentito maggiormente gli effetti negativi della crisi, si possono citare le industrie manifatturiere e le industrie del comparto primario. Al contrario, il numero delle persone impiegate nei settori connessi all'ICT, ai servizi professionali, scientifici e tecnici, e all'arte, all'intrattenimento, alle attività ricreative e ad altri tipi di servizi, è aumentato nel corso del tempo” [traduzione non letterale a cura dell'autore].
(5) Frey C. B., Osborne M. A. (2013), The Future of Employment: How susceptible are jobs to computerisation?, Oxford Martin School, University of Oxford. Disponibile online al seguente link http://www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/academic/The_Future_of_Employment.pdf
(6) John Maynard Keynes nel suo saggio “Economic possibilities for our grandchildren” aveva preconizzato una diffusa disoccupazione tecnologica dovuta alla scoperta di strumenti e processi innovativi, che avrebbero consentito un minor uso del lavoro a una velocità di gran lunga superiore rispetto a quella necessaria per immaginare utilizzi alternativi di tale lavoro.
(7) Ivi pag. 45. «Le nostre scoperte implicano quindi che, dal momento che la tecnologia evolve costantemente, i lavoratori con basse competenze saranno ricollocati in professioni che prevedono compiti non suscettibili all'automatizzazione – quali ad esempio le attività che richiedono un'intelligenza creativa e sociale. Per vincere la sfida del futuro, i lavoratori dovranno in ogni caso acquisire competenze creative e sociali» [traduzione non letterale a cura dell'autore].