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L’arte è il sacro universale

  • Pubblicato il: 14/12/2012 - 13:21
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Articolo a cura di: 
Anna Orlando

«Una collezione non è un semplice assembramento di opere; essa propone esperienze da vivere e condividere. Collezionare per me non significa solo possedere, è un modo d’essere, un’attitudine filosofica che riguarda la mia ricerca di pienezza che desidererei condividere». Sono parole di Giuseppe Panza di Biumo; frasi, tra le molte, raccolte in un volume  che contiene l’ultima intervista del collezionista con Philipp Ungar. Per volere dello stesso Panza, scomparso nel 2010, in una serie di incontri tra il 2007 e il 2009 con lo studioso francese, viene ripercorsa passo per passo la sua vita: dall’infanzia agli anni in Svizzera come rifugiato durante la seconda guerra mondiale; dal viaggio in America nel 1953-54 (Brasile, Argentina, Venezuela, Cuba e infine New York) al matrimonio nel 1955 con Giovanna, con la quale ha diviso il quotidiano amore per l’arte. Da lì in poi, la vita di un collezionista, fatta di incontri e di dialoghi, ma anche di lunghi silenzi. Quelli davanti alle opere, con le quali amava relazionarsi ponendosi in ascolto, meditando, con la capacità di annullare tutte le sovrastrutture del pensiero e del sapere che impediscono di guardare: «vedere è un’esperienza di maturazione personale; si può inoltre dire che non si finisce mai di vedere... è un’esperienza senza fine».
La collezione Panza abbraccia un arco temporale che va dagli anni Cinquanta fino agli Ottanta, ed è nota per la precoce scoperta degli artisti soprattutto americani in grande anticipo rispetto ai riconoscimenti della critica e del pubblico in Italia. Giuseppe Panza fu costretto a vendere ai musei americani alcune opere conservate all’estero, quando la legge italiana gli impose come unica alternativa quella di importarle e pagare tasse su valori che intanto erano lievitati enormemente, cosicché la tassazione avrebbe comportato un esborso per lui insostenibile all’inizio degli anni Ottanta. Ma insegue il sogno di un museo anche in Italia, realizzato con ladonazione al Fai di Villa Panza a Varese nel 1996. «Un museo dovrebbe essere una sorta di tempio laico, un luogo di meditazione dove ci si può riconciliare con se stessi e vivere un’esperienza di pienezza», si legge tra le sue dichiarazioni, perché «l’arte esprime un legame naturale molto primitivo tra uomo e universo. Un legame religioso, ma senza rapporto con la religione nel senso istituzionale. È il sacro nel senso più spontaneo e universale».
Perle di pensieri contenute in quello che Giuseppe e Giovanna Panza hanno voluto fosse una sorta di «testamento filosofico». Nel libro, anche un commosso racconto della moglie e quello di Richard Koshalek, per vent’anni direttore del Museum of Contemporary Art di Los Angeles (oggi a capo del Smithsonian’s Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington), che siglò la prima grande acquisizione di una parte della collezione nel 1984 per il MoCA. Ricorda di averlo visto piangere, quando in un magazzino di Zurigo guardò un suo lavoro di Oldenburg dal quale si stava separando.

Giuseppe e Giovanna Panza collezionisti. L’occhio, il pensiero e lo stupore, 160 pp., 70 ill. colore, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2012,  € 18,00
da Il Giornale dell'Arte numero 326, dicembre 2012