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Il futuro è una terra alta

  • Pubblicato il: 15/04/2018 - 09:00
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA DIGITALE
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Dare umanità all’intelligenza artificiale. Gli artisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, fondatori della prima scuola diffusa “arte e dati”, Her-Human Ecosystem, a Roma, nel quartiere di S. Lorenzo, mostrano una possibile via italiana che si sta configurando. Grazie al lavoro dell’Agenzia Italia per il Digitale, accanto alle istituzioni cognitive pioniere nelle Digital Humanities-come la Normale Superiore di Pisa e l’Università Cà Foscari di Venezia-, in prima fila i musei della scienza –Muse e Must-, le prime istituzioni culturali come il Polo del ‘900 e Fondazione Golinelli, crescono aziende e organizzazioni, in cui i tecnici informatici scrivono algoritmi con gli artisti, i cittadini e i bambini. Un vantaggio competitivo per un futuro di possibilità. La risposta a Cambridge Analitica? Se ne è discusso al Palazzo delle Esposizioni dedicato all’acronimo  IA-intelligenza  artificiale, vera e propria sfida esistenziale nel rapporto tra essere umano e tecnologia. Pubblica amministrazione e arte a confronto. La posta in gioco è alta.


Tutte le Arti servono a  quella più importante,
 l’Arte di vivere”, B. Brecht
 
Vertigini. Questo si prova incontrando Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, quella “strana coppia”. Artisti che lavorano sulla poetica dei dati. Il taglio di capelli, lo sguardo nel “non ancora”, anzi “nell’altrove”, che ti sembra così lontano dal “qui ed ora”, ma che non è alle porte. Ci sei dentro. Una terra sconosciuta e alta come lo è il futuro, nella quale ci proiettano velocemente. Near future. Near future design. Questa la loro disciplina in Università.  Progettare il futuro. E scopri che si tratta di innovazione sociale, di una profonda rivoluzione nel modo stesso in cui progettiamo. La insegnano, anzi fanno immaginare e agire ai loro studenti, con il coraggio di chi non teme di avventurarsi, legge il fascino delle esplorazioni, le opportunità di un’era senza precedenti. Perché sono Artisti, ma anche scienziati che connettono attraverso le performance, sempre più collettive, Arte e big data.   Come afferma Aldo Masullo, con quella tecnologia, “capace di ri-avviare processi di invenzione sociale”.
 
Perché oggi, l’innovazione tecnologica entrata in modo dirompente nella nostra quotidianità non serve a velocizzare, ma a consentire a noi, cittadini temporanei del pianeta, di co-cocreare nuovi paradigmi, nuove dimensioni, nuovi modi di vivere.  “Può essere qualcosa di straordinario, che ci posiziona come esseri umani sul pianeta, nelle relazioni con gli altri, nel nostro lavoro, nelle nostre libertà di espressione, nei nostri diritti fondamentali” ci dicono Salvatore e Oriana, proprio nei giorni della tempesta mediatica sull’affaire Cambridge Analitica.
 
E passano all’azione varando a Roma il polo di Arte e Dati, “Her-Human Ecosystem”, un nuovo punto di riferimento fra arte, scienza e tecnologia. Giorni in cui un nuovo ricco, con il volto da bambino, che si presenta come un idealista seduto sui propri trillion, chiede scusa al mondo per 87 milioni di profili personali saccheggiati. Ma non è la prima volta. Ho sbagliato a vendere l’anima. La vostra.
Non dobbiamo solo costruire strumenti, ma assicurarci che vengano utilizzati bene”, afferma provato Mark Zuckerberg, nelle cinque ore dei Senatori americani,  assumendosi un onere che non può essere individuale: “per gran parte della nostra esistenza ci siamo concentrarti sul bene che si può fare alle persone. Non avevamo una visione abbastanza ampia della nostra responsabilità. Vale per le fake news. Per le interferenze straniere nelle elezioni. I discorsi di incitamento all’odio. La privacy”.  A conoscenza del problema dal 2015, presenta una ricostruzione dei fatti lacunosa e se lo è, come affermano alcuni commentatori, è perché ignora quanto è accaduto. “Non so. Non ne sono a conoscenza”.
La responsabilità è collettiva, ma prima occorre averne la consapevolezza. Tutti gli attori debbono cambiare il modo di agire. Le regole sono da riscrivere, in un codice aperto, in cui l’attore istituzionale deve scriverne una parte, ma poi tocca ad ognuno. E altrettanto debbono fare i cittadini, non più utenti passivi. Una nuova etica.
La tecnologia non è buona o cattiva. E’ ciò che ne facciamo che fa la differenza.
 
Vertigini. Il futuro è una terra alta.  Nella sua aria frizzante si intravvedono “scenari di convergenza attivi”,  meraviglie di connessioni. Le vediamo nelle punte di diamante delle istituzioni cognitive e culturali illuminate che Salvatore e Oriana, segnalano nell’articolo a loro firma comparso domenica su Nova. Se il sistema della formazione è chiamato a implementare attività di ripensamento del suo modus operandi, perché i modelli basati sulla trasmissione della conoscenza non sono più efficienti rispetto alla iper-complessità e la tecnologia oltre alla testa deve avere cuore, alcune Università stanno rispondendo con corsi di laurea (Pisa e Pistoia) e Master (Venezia) in Digital Humanities. Incrocio tra informatica, scienze umane e sociali. Integrazione dei saperi, valorizzazione di competenze trasversali avanzate, ibridazione tra informatica e conoscenze letterarie, linguistiche, storico-culturali e delle arti. Dalla filologia alla musicologia, dagli studi letterari agli studi storici per creare le competenze per abitare il mondo nuovo e gestire le eredità culturali.
 
Nuovi[C1]  film, come quello di città open source. Città più collaborative per rispondere a nuovi bisogni di welfare. Barcellona, Parigi, Friburgo con quartieri che producono quattro volte l’energia elettrica di cui hanno bisogno con impianti di energia elettrica, sostenibile e rinnovabile.  Detroit che ha vissuto una delle più drammatiche riduzioni demografiche dopo la scomparsa dell’industria automobilistica, sta diventando un centro d’avanguardia di agricoltura urbana. Nuovi pensieri urbanistici che mettono insieme, grazie alla tecnologia,  innovazioni e pratiche seguendo un nuovo pensiero urbanistico. Una sostenibilità integrata, che attraversa la sostenibilità ecologica, sociale, economica, culturale.
 
Vertigini. Ma se dall’alto puoi vedere lontano, senti, quando arrivano le prime nebbie, l’inquietudine, il disorientamento, l’inadeguatezza, la paura. Anche delle grandi promesse. Per noi che conduciamo un’esistenza di lettura. E per tutti gli altri?
 
La posta in gioco è alta. Gli interessi della “Società 1%”, come la definisce il premio Nobel Joseph Stiglitz,  hanno prevaricato quelli di un’ampia fetta della popolazione, aumentando la forbice. L’immenso mondo di opportunità genera nel contempo nuove professioni, ma rischia di alimentare il male endemico delle diseguaglianze, lasciando indietro i più fragili, facendo crescere  il rapporto tra fasce attive e inattive della popolazione. Le diseguaglianze sono frutto delle nostre scelte e azioni politiche ed economiche, minano lo sviluppo e crea condizioni inaccettabili di disagio sociale e di sfiducia, contrapposizioni apparentemente inconciliabili, con impatti sulla coesione sociale e sulla qualità della vita della popolazione, sull’accesso ai diritti fondamentali.  Nuove povertà educative e culturali, alla base di sono povertà economica e sociale.  Crisi sociali, di comprensione del mondo  che allargano il consenso delle agende di stampo populista e sovranista.
 
Il digital divide è una mannaia colpisce la popolazione invecchiata, figlia del Novecento, gli analfabeti di ritorno, che abitano periferie esistenziali, in cui le reti sociali sono cadute in frantumi.  Senza parlare delle popolazioni migranti. E di coloro che rimarranno sulla banchina quando sarà salpata l’era della quarta rivoluzione industriale. 
 
Il capitale tecnologico è soprattutto  software, competenze, linguaggi, significati, necessari ad affrontare le sfide future del lavoro, delle relazioni sociali. Quanti sono e saranno gli obsoleti?  Già oggi  sono palesi i differenziali salariali che contribuiscono a polarizzare il mercato del lavoro. “Se un giorno le macchine dovessero produrre tutto ciò di cui abbiamo bisogno, il bagaglio di competenze che ne attivano le funzioni sarà il vero capitale su cui le istituzioni dovranno investire, per redistribuire i vantaggi che queste apportano”, afferma Stiglitz.
 
Che fare? Parafrasando Lenin, Mario Merz, esattamente 50 anni fa, ci offriva questa frase, scritta con la luce al neon in una pentola di cera bollente. Come distribuire e redistribuire i vantaggi derivanti dalla tecnologia? Come creare coinvolgimento e consapevolezza, senso, capacità di orientarsi? Come illuminare le coscienze di chi, prima di altri, ha le conoscenze per muoversi nel futuro?
 
“E’ importante che Voi ci siate”, nel futuro, dicono Oriana e Salvatore, parlando ad aziende, pubblica amministrazione, filantropia e cittadini.
Le Arti, con la capacità di stimolare le domande, moltiplicare punti di vista e visioni, sono “Beni relazionali”, per un estensione della definizione di Luigino Bruni, una risorsa in processi di radicale cambiamento.
 
Ma quale ruolo vero vogliono giocare le istituzioni culturali, i luoghi per eccellenza di produzione di consapevolezze, comprensione e immaginari? Al di là dell’engagement di un pubblico che richiede offerte sempre più esperienziali? Le prime a scendere in campo, per relazione naturale, sono i musei della scienza, tra i più visitati in questo scorcio di millennio. Ma in tutti, terreni per eccellenza nella produzione di immaginari, al di là degli interventi politically correct,  possono agire un ruolo strategico, veramente politico,  nell’engagement di quella ampia fascia di popolazione che vive in un altro secolo.
 
Abbiamo ancora strada da compiere.  E se, come afferma Lucio Argano “il miglior modo di prevedere il futuro è inventarlo”, occorrono regole, cervello e soprattutto “cuore”, per preservare ciò che rende umani.
 
Estratto dell’intervento di Catterina Seia
 
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