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I cercatori d’anima come antidoto alla crisi

  • Pubblicato il: 31/05/2013 - 08:48
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Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Anna Follo

Torino. Mancano poche settimane alla chiusura della mostra «Amore e Psiche. La favola dell'Anima», organizzata da DNArt Foundation di Milano, prima collaborazione con l’Opera Barolo di Torino, due istituzioni da sempre interessate all’aspetto educativo dell’arte e specialmente all’apporto della cultura per l’emancipazione dalle vulnerabilità. Ne parliamo con Elena Fontanella, presidente della Fondazione DNArt e curatrice della mostra.

In un momento storico in cui si parla sempre, in modo quasi ossessivo, di cifre e di problematiche legate al contingente e al materiale avete deciso di proporre un viaggio dell’anima. Com’è nata questa idea?
Quando Apuleio scrive «L'asino d'oro», il romanzo in cui inserisce questo cammeo di Amore e Psiche, siamo in un periodo, il II secolo dopo Cristo, di grandi travagli, anche di crisi d’identità dell'Impero Romano inteso come sistema di potere che governa il mondo. Quindi in quel momento il problema dell'anima, il problema di poter credere in qualcosa di superiore, di eterno, è fortissimo; tant'è che nell'Impero Romano il Cristianesimo si sviluppa. Non è un caso la nostra proposta oggi, in un momento di grande crisi, non solo politico-economica. Abbiamo preso spunto da un libro di Monsignor Ravasi ristampato di recente, «La Storia dell'Anima», in cui l'autore, con le sue grandi capacità, cerca di far valutare la questione dell'anima sia dal punto di vista laico sia da quello Cattolico o comunque religioso, analizzando il fatto che la ricerca dell'anima - la necessità di pensare a un'anima -  va oltre le credenze religiose del singolo e va oltre anche l'identificazione stessa di una civiltà. Una ricerca, un anelito all'infinito che fa parte dell'essere umano e della storia antichissima, da raccontare, come dice Monsignor Ravasi, attraverso i «cercatori d'anima». E i «cercatori d'anima» per eccellenza sono gli artisti, i poeti, gli scrittori... quelli che ci hanno lasciato tracce indelebili che colpiscono nel profondo. Da questo nasce la volontà di portare alla conoscenza emozionale la storia di Amore e Psiche attraverso l'arte. Una mostra deve sempre essere un percorso di emozioni, rispetto a museo o a una sala espositiva permanente, deve stimolare approfondimenti. Dal libro firme con i commenti dei visitatori si comprende che il risultato atteso è stato raggiunto. A livello estetico noi abbiamo confrontato in un sunto - brevissimo, per quanto una mostra può dare - di storia dell'arte quelli che possono essere dei richiami a questa favola eterna dall'antichità fino ai giorni nostri, mettendo a confronto delle realtà estetiche diverse, su concetti immutati. Un po' come diceva Calvino, le storie dei personaggi vivono di grandi Destini Incrociati. Ognuno può dare la propria interpretazione dal proprio punto di vista: animistico, religioso, dell’amore, o storico. La civiltà ridiscute sé stessa.

La collaborazione con l’Opera Barolo mette in luce come per lavorare sulla coesione sociale si possa e si debba anche puntare sui progetti culturali. Come si è articolata?
L'Opera Barolo lavora da sempre sul tema dell'educazione, della scuola, della formazione, questo è stato un punto di grande contatto che abbiamo avuto fin dai primi momenti, come ragion d’essere dell'esposizione. L’altro punto di convergenza è la valorizzazione, il ritenere - questo è anche uno dei compiti della nostra Fondazione, che lavora in regime di partecipazione con il pubblico – che si debba partire dal poter aprire le porte del proprio palazzo- e la sede dell’Opera è un esempio straordinario di architettura barocca-, aprirlo per progetti nuovi, poter coinvolgere più realtà culturali. Le mostre tematiche hanno il grande vantaggio di avere più musei che partecipano e collaborano, perché i pezzi vengono da ogni parte e si incrociano studi. Questo progetto è stato realizzato appositamente per questo luogo, iniziando il percorso dalle cantine, utilizzando gli appartamenti del piano terra con il tripudio della parte finale del mito rivela uno studio preciso sullo spazio, che quindi lo valorizza. Intorno alla mostra abbiamo costruito un ciclo di conversazioni, dalla fiaba, alla musica, con approfondimenti tematici.

Le mostre che avete organizzato sono transitate su più sedi espositive. Anche Amore e Psiche sarà itinerante?
Si è prevista una tappa a Palazzo Te a Mantova perché c'è una stanza sul tema. Il progetto sarà declinato sul legame con Giulio Romano, sottolineando l’aspetto più esoterico, più ficiniano e rinascimentale del mito. Poi la mostra andrà a Cosenza a Natale, in occasione della riapertura del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, chiuso da una vita.

Quindi è la mostra che riapre il museo?
Si, d'altra parte questa mostra ha preso molto dell'aspetto religioso della Magna Grecia - c'è anche un grosso corpus di oggetti che vengono dal Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e da Locri, per il mito di Persefone.

La collaborazione con l’Opera proseguirà?
Abbiamo messo in cantiere una mostra sulla maternità, «Mater». Dovremmo aprire il 28 di settembre. Sarà la mostra di Natale e con l'occasione porteremo anche un presepe napoletano del '700 che metteremo nelle sale al piano nobile per esplorare questo tema.

La Fondazione DNArt nasce – e cito dal vostro sito – «per favorire e sviluppare la ricerca, lo studio e la conoscenza della cultura in tutte le sue varie espressioni» e in effetti i vostri dipartimenti spaziano dall’archeologia alla letteratura, dallo sport alla storia. Come tenete insieme queste anime?
La nostra Fondazione nasce a metà degli anni '90, quando in Italia si stavano costituendo realtà come Civita. La differenza è la nostra origine, di ambito accademico che è la prospettiva dalla quale ci sviluppiamo. Crediamo molto nel creare progetti specifici, il che complica il percorso che si trasforma in ricerca, che deve essere compatibile con la contrazione di risorse. Ma noi siamo abituati a progetti poco costosi rispetto ai prezzi di mercato, stanti le nostre relazioni con le istituzioni museali alle quali non paghiamo «fee», ma con le quali instauriamo un rapporto studio. Per questa ragione i nostri progetti di punta sono stati celebrativi: abbiamo fatto parte del Comitato Cavour, di quello delle celebrazioni del suffragio femminile. Per questo abbiamo dipartimenti specifici sui diversi temi. Ora stiamo lavorando sul Millenario Augusteo. Ovviamente la carenza di fondi pubblici è un grande problema in un Paese che è stato incapace di gestire il suo patrimonio. Anche la normativa non aiuta. Spesso abbiamo progetti bloccati non per mancanza di volontà, ma rigidità normative.

Avete realizzato molti progetti su personaggi eccellenti di origine piemontese. C’è una volontà di rafforzare l’asse strategico Torino-Milano com’è accaduto per altre manifestazioni?
La Fondazione nasce da più realtà culturali, di cui una era torinese, Iridis. Io sono torinese, quindi c'è un motivo di permanenza, c'è una volontà di perseguire le attività su Torino. Oltre l’«amarcord», non nego ci sia la grande necessità di un asse strategico. Noi stiamo cercando di realizzarlo anche con la Val d'Aosta e la Liguria, perché in previsione dell'Expo di Milano il bacino del nord ovest sarà molto interessante. Anche il futuro infrastrutturale - con assi di collegamento che si rafforzano e portano ad aprirsi sempre di più all'Europa con una direttrice verso la Francia e la Spagna - è una prospettiva. Come per il caso del festival MiTo, l'asse non è tanto solo sullo scambio delle eccellenze, ma sullo sviluppo territoriale. Sull'Expo e sul suo territorio ci sono progetti molto interessanti in cantiere, che potrebbero dare frutti a lungo termine e darci un modello di sviluppo del turismo culturale di cui abbiamo bisogno.
Stiamo ripensando gli strumenti, i prodotti, le metodologie perché dobbiamo riuscire a presentare progetti culturali a minor costo e a utilizzare l'impatto zero anche nel sistema dei beni culturali, con personale, allestitori, comunicatori locali. Facendo rete.

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