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Feltrinelli. La fondazione ribelle, fra resistenze e resilienza culturale

  • Pubblicato il: 15/09/2017 - 09:38
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di: 
Amerigo Nutolo

Mentre l’Italia apre alla public history e al futuro delle discipline storiche, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dà il via al suo Master (in scadenza le iscrizioni) e presenta una stagione Ribelle ricca di attività e eventi per il nuovo anno, sull’onda di affluenze record nella sede di Porta Volta. Massimiliano Tarantino, il suo Segretario Generale, ci racconta come la Fondazione reagisce sia all’elitarismo degli attori tradizionali che alla polverizzazione culturale e alla dispersione digitale del sapere
 


 
Il 19 settembre la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli presenta il suo mix di attività performative, di ricerca e divulgazione per la nuova stagione. Ci si aspetta, a conferma del ruolo assunto nelle scienze sociali dall’istituzione, che la crisalide si trasformi in farfalla: tre anni di start-up, uno di insediamento nella nuova sede, progetti di ricerca intrapresi con enti culturali e formativi. La nuova stagione Ribelle prende il volo senza lasciare i temi cardine: lavori e lavoratori nell’era digitale e delle nuove economie; crisi, opportunità e nuove pratiche di rappresentanza e espressione politica; la dimensione storica – e critica – della cittadinanza europea. Oltre alla parola – dibattiti, incontri, forum – si avvia un calendario espositivo, performativo e cinematografico, tutto da scoprire.
  
“Quella di Ribelle è una connotazione politica, non solitaria, – dice il Segretario Generale, Massimiliano Tarantino – non è più un ribellarsi contro lo stato delle cose, ma contro l’indolenza diffusa, indotta dalle trasformazioni di questi anni e dai nuovi strumenti di comunicazione. La nostra offerta è destinata alla cittadinanza che definiamo attiva.” Per Tarantino l’abbandono delle militanze e dei protagonismi civici, in questi ultimi anni, “vengono sia dal diffondersi della wiki-science, una conoscenza pulviscolare, poco argomentata o approfondita, che dà l’illusione di conoscere, porta a non andare oltre e attiva un sottile fenomeno di disinformazione – che da quei soggetti culturali istituzionali, associativi, protagonisti degli ultimi sessant’anni che hanno consolidato un’élite e reso la cultura qualcosa di esclusivo. Per esprimere opinioni circostanziate su grandi questioni del presente, dei diritti, il cittadino deve reagire all’ignoranza latente; e va scardinata l’egemonia dei soggetti culturali per sottoporli alla prova della popolarizzazione dei loro messaggi: cedere un potere illusorio serve sia a valorizzarli che a rimetterne in circolo contenuti qualificati in nuove forme digitali e interattive che, senza tradire la qualità, generino approfondimento e permettano, in modi più divertenti, di recepire vera informazione.”
 
Nell’alluvione culturale dei fenomeni di disintermediazione, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli fa da cassa d’espansione: mira a abilitare i dubbi, a rallentare il flusso di certezze illusorie sui fenomeni che ci circondano (e i processi da cui, storicamente, emergono). La ribellione è nell’apertura del confronto pubblico diretto, nel puntare sulla comunità, nel far traspirare i risultati della ricerca universitaria fra tessuti spesso poco permeabili fra loro: cittadini, imprese, mondo della politica. Ridefinirne i reciproci ruoli serve a costruire un futuro, una trasformazione, più consapevoli.
“I contenuti sono prodotti non per selezione e proposta unilaterale, come nelle filiere culturali del ‘900: la ambizione è di diventare piattaforma per una produzione più complessa e gratificante, che avvenga con i diversi soggetti del territorio.” La Fondazione Feltrinelli non è una fondazione d’impresa, che cerca luce per il marchio, ma un ente di ricerca che mira a una radicale disseminazione culturale: ma ci si chiede, di fronte ai processi culturali di esclusione e polverizzazione, come la fondazione possa raggiungere i target di soggetti culturalmente insensibili e periferici. “Se mi chiede come aggredisco un target, le dico che non faccio marketing, né settorializzo. E’ un ragionamento sistemico, da agente culturale. Non vendo un prodotto. La nostra offerta soddisfa un bisogno, una domanda, già presente in milioni di persone che non si accontentano. La sede di via Pasubio è arrivata a 220.000 visitatori nel primo semestre, e tende a superare i 400.000 nel primo anno. Il mondo è pronto a questo tipo di narrazioni e il pubblico potenziale è enormemente più vasto: la domanda è se sia anche pronto a porsi delle domande, fruire di contenuti più approfonditi, fare di un luogo parte della propria esperienza di cittadinanza.”
 
Le narrazioni prodotte dalle communities, da forme di autorappresentazione dei corpi sociali intermedi strutturatisi attorno ai mezzi di comunicazione digitale e non solo, complicano il compito degli agenti culturali tradizionali e danno vita a fenomeni staccati dalla loro influenza. Feltrinelli propone il Master in Public History (con Università degli Studi di Milano): il compito di un public historian è competere con le narrazioni diffuse e proporne altre, fondate su ricerca, documenti, verifica, per accompagnare la presa di coscienza delle possibilità civiche? Come si cerca d’incidere? Per Tarantino l’obiettivo è quello di “creare professionalità in grado di avere un futuro, strumenti e competitività per chi oggi – o domani – s’avvicinerà allo studio della storia e al lavoro di storico. Chi ha l’attitudine, la volontà di fare della storia e delle humanities il proprio futuro (fra post-triennale e pre-graduate) oltre alla scrittura e ricerca da libro, può diventare scrittore per serie televisive, un valorizzatore di identità e patrimoni documentali, un allestitore di mostre etc. acquisendo competenze, nel master, sulla gestione di budget, dei rapporti con i diversi target di mercato, sull’individuazione di target di pubblico, la costruzione di partnership pubblico-privato, su come inserirsi nel contesto territoriale in cui un’istituzione è presente, e sulla parte editoriale ovviamente – che ormai è conseguenza di una cultura uscita dai luoghi tradizionali e in contatto con le persone attraverso canali che una volta non erano ritenuti degni: ci basti pensare ai festival.”
 
La qualificazione promossa da Fondazione Feltrinelli saprà sfuggire a quella dimensione pulviscolare, intrattenitiva, che vuole contrastare, facendone propri gli strumenti comunicativi, per riversarvi il frutto del lavoro intellettuale? E’ in palio la re-interpretazione dei ruoli scientifici: “Quando, sedici anni fa, lavoravo con Settis alla Normale di Pisa, il punto era già questo: se vuoi avere un futuro nel mondo culturale non puoi intendere valorizzazione e tutela come mondi a sé stanti, o dividere la competenza sulle materie da quella sulla gestione di un budget. Chi fa ricerca in campi umanistici è formato bene, nozionisticamente, ma non è immesso nel mercato del lavoro: è privo di competenze sulla messa in relazione del patrimonio con un pubblico. Questo è un bagno di realismo. Risponde alla domanda del mercato della cultura.” Il Segretario ricorda che la Fondazione copre ambiti di ricerca pluridisciplinari in cui convergono oltre alle professionalità storiche, anche le economiche, sociologiche, delle scienze politiche – a complemento di questa visione.
 
Resta da capire se il disgregarsi delle comunità e delle narrative su valori e identità collettive, sia non solo la conseguenza negativa di fenomeni di consumo, massificazione, individualismo, ma anche un passo inevitabile verso una dimensione individuale abilitata a nuove forme di prossimità e socialità, emancipata dagli intermediari di narrazioni che educano al bene e all’azione comune. Non è questa la ribellione? Le pratiche di produzione, fruizione, condivisione culturale contemporanee non han messo fuori gioco i nostri parametri di sapere e bene culturale, e chi li gestisce? Il bisogno di valorizzare forse è un bisogno dei valorizzatori? Quanto sappiamo delle terre incognite dell’interazione culturale futura?
 
E’ lecito chiedersi se la spinta della fondazione per l’uso di forme moderne di scambio e comunicazione dei saperi non sia uno strumento di normale adattamento; se l’ideale comunitario non miri a un target medio-alto già tradizionalmente sensibile; e se più che a una ribellione la sua piattaforma non si presti a una sfida di resilienza, per una classe culturale messa in crisi da processi di cambiamento che non sa governare, in vista d’un nuovo ruolo attivo. Certo se Fondazione Feltrinelli saprà leggere e interpretare la propria storia e quella delle ribellioni profonde della società attuale, potrà scrivere – con tutti noi – la storia che ci aspetta.
 
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Ph: Filippo Romano ® Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (Courtesy), 2016 Dicembre Milano