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D come Donna, Dono e.. Dubach

  • Pubblicato il: 17/12/2013 - 10:17
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Santa Nastro

Elisa Bortoluzzi Dubach, nella prossima primavera è in uscita il suo libro attesissimo sulla filantropia femminile, Mäzenninen Denken. Handeln. Bewegen (in italiano, «Mecenati. Pensare. Agire. Cambiare», ndr.) per Haupt, Berna. Ha senso studiarla e darne una definizione a sé stante?
Confesso che prima di lavorare a questa ricerca, me lo chiedevo anch’io. Agli inizi del mio progetto sono stata spinta dalla curiosità e dal fatto che le informazioni erano diffuse, sporadiche e non sistematizzate. Dopo quattro anni di studi so che ci troviamo di fronte ad un fenomeno affascinante, sul quale vale la pena di interrogarsi in profondità. La filantropia femminile è strettamente legata all’evoluzione delle donne, ha sviluppato nel corso dei secoli sue proprie caratteristiche ed è di una ricchezza di sfumature sorprendente.

Con quali caratteristiche questo fenomeno si distingue dalla «filantropia maschile»?
Le filantrope sostengono economicamente in particolare quelle organizzazioni per le quali si sono già impegnate in altre forme, che instaurano una comunicazione empatica con loro, prediligono una filantropia che stabilisca relazioni, sono generosissime nel mettere a disposizione il loro tempo, impegnate su progetti di quando in quando ad alto rischio dal punto di vista dei contenuti, rifuggono da speculazioni e da investimenti a rischio nell’investimento di capitali filantropici. Mentre gli uomini fin dall’inizio tendono a focalizzare la propria attività di mecenatismo, le donne propendono a farlo dopo un periodo di «sperimentazione». Potrei proseguire. Ci sono mille dettagli che rendono l’approccio filantropico di uomini e donne identico nel suo nobile intento primario, l’aiuto al prossimo, diversissimo nella realizzazione operativa.

La filantropia femminile è un fenomeno recente?
L’impegno filantropico delle donne ha una storia antichissima: sia nel no profit che nel mecenatismo nel corso dei secoli le donne hanno avuto spesso un ruolo determinante. Storicamente nel passato sovente impegno sociale “sul campo” e filantropia erano fenomeni coincidenti, finché gli stati non hanno sviluppato un welfare adeguato. Ci sono moltissimi esempi al riguardo, per citarne uno italiano, Maria d'Enghien (1367-1446), principessa del Principato di Taranto che fondò un ospedale e, rimasta vedova, non solo continuò l’opera filantropica, ma arrivò ad indossare l’armatura, per difendere il suo popolo. Grazie al suo mecenatismo il Salento, immerso in un lungo medioevo, si aprì ad artisti provenienti da ogni parte d’Europa. I tanti casi significativi a livello internazionale si accompagnarono nel corso dei secoli a una nuova consapevolezza dei bisogni delle donne, della necessità di una loro emancipazione, anche se sarebbe totalmente sbagliato ridurre la filantropia femminile ad un puro sostegno delle donne a favore delle donne. Le mecenati oggi sono attive in tutti gli ambiti della società civile, spesso con progetti assolutamente innovativi, penso concretamente al sostegno ai richiedenti d’asilo, alla lotta alla disoccupazione, all’integrazione degli emarginati, tutti temi che non sceglie chi cerca prestigio, ma chi vuole veramente operare a favore di una soluzione concreta dei problemi che affliggono l’Europa.

Quali cambiamenti nel contesto sociale favoriscono il fiorire della filantropia femminile?
Il contesto sociale è completamente mutato: mai come ora le donne hanno avuto un ruolo di leadership in aziende ed istituzioni, mai come ora hanno avuto denaro proprio con la libertà di gestirlo in modo indipendente, che questo sia denaro proveniente da eredità o dalla propria attività. Ricordiamo a questo proposito che i salari delle donne sono, seppure ancora largamente inferiori a quelli degli uomini, storicamente fra i più alti che esse abbiano mai ottenuto. In generale abbiamo notato che tendono a essere più generose persone che hanno creato il proprio benessere economico rispetto a coloro che avendo ereditato vivono di rendita. La percezione della sicurezza economica raggiunta influenza dunque in modo positivo la frequenza e l’entità delle donazioni. Le donne hanno inoltre una più lunga aspettativa di vita rispetto agli uomini. Dal momento che è proprio a partire dai cinquant’anni che in genere viene dato avvio alle attività filantropiche il tempo da dedicare alla stessa è naturalmente più prolungato. Da ultimo il numero di donne single a una certa età ha raggiunto un picco storico (divorziate, vedove o mai sposate). Da qui anche una naturale predisposizione a impegnarsi e, se sono senza eredi, a lasciare il proprio patrimonio ad organizzazioni filantropiche. Aggiungiamo un dato non proprio irrilevante, nella sola Svizzera nei prossimi vent’anni verranno trasmessi in eredità 900 miliardi di franchi, la lettura della recente statistica della rivista Bilanz[1] registra un significativo aumento dei patrimoni dei singoli e del numero delle donne. Che cosa significa questo per il mondo della filantropia? La risposta mi sembra evidente.

A tuo parere la crisi globale che stiamo vivendo ha in qualche modo stimolato la nascita e la conformazione del fenomeno?
Storicamente vediamo che in concomitanza con le grandi crisi cresce il bisogno dei singoli a impegnarsi. Il rinascimento della filantropia che viviamo attualmente corrisponde a un fenomeno quindi storicamente ricorrente. In questo senso mi sembra lodevolissimo l’impegno di Maite Bulgari e di Barbara Maccaferri ed altri che hanno deciso di lanciare un Forum Italiano della Filantropia con l’obiettivo di diffondere la cultura del dono in Italia, creando un’opportunità per i filantropi italiani e stranieri di condividere le proprie esperienze e costruire una rete relazionale proficua[2].

Qual’ è in conclusione il senso ultimo della filantropia femminile?
In un momento storico in cui individualismo e solitudine sono crescenti, perché al moltiplicarsi delle opportunità non corrisponde una reale possibilità di scelta, la filantropia femminile è una risposta chiara, coraggiosa, lineare e pragmatica di impegno concreto ed è il segno tangibile di un valore fondamentale, la volontà delle donne di mettersi in gioco in prima persona a favore della società civile.

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Elisa Bortoluzzi Dubach, docente universitario e consulente di Relazioni Pubbliche, Sponsorizzazioni e Fondazioni, insegna in università ed istituzioni in Italia, Svizzera, Germania ed è stata capo progetto di campagne nazionali ed internazionali. E’ autrice fra gli altri di «Lavorare con le fondazioni. Guida operativa» (Franco Angeli 2009) e co-autrice di «Sponsoring dalla A alla Z» (Skira 2009).

[1] http://www.bilanz.ch//die-300-reichsten-der-schweiz-2013
[2] http://forumfilantropia.com