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Cultura verso mercato. I limiti di fare impresa culturale in India.

  • Pubblicato il: 02/12/2011 - 11:17
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DAL MONDO
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Anmol Vellani

Lecce, Bologna, Milano, Torino.  Concluso il tour italiano destinato agli studenti delle Accademie e delle Facoltà umanistiche e a indirizzo di gestione dei beni culturali,  organizzato da Fitzcarraldo, di Anmol Vellani, protagonista della scena culturale dell’India, uno dei paesi del Bric (termine che ormai ha dieci anni e che comprende Brasile e Cina), letti come più dinamici. Nato da una famiglia di artisti, da cui ha sviluppato la passione per il teatro, ha studiato filosofia all’università di Paonam, Oxford e Cambridge, insegnandola all’Elphinstone College di  Mumbai negli anni ’70. Responsabile delle performing arts dal 1986 al 1995 per la Fondazione Ford a Nuova Delhi, nel 1995 ha cofondato la India Foundation for the Arts, la maggiore realtà indipendente in India, senza mai interrompere l’attività artistica come attore, drammaturgo, regista e saggista. Tra i molti incarichi è stato Presidente della Conference of Asian Foundations.
La sua visione di scenario. Una terra di contraddizioni, di sperequazioni, tra alti tassi di povertà, come di impetuoso sviluppo. Il supporto alle arti in India ha una matrice feudale, principesca. Oggi la produzione di eventi  artistici -la conservazione non è la priorità del Paese, se non nelle pratiche - ha un posto nell’agenda politica, attuata  con il supporto da trust e fondazioni, oltre che da agenzie straniere, ma è carente l’investimento sui processi e sull’educazione e soprattutto sulla sperimentazione, ovvero sugli elementi centrali per rendere possibile un’atmosfera creativa. Le istituzioni culturali non sono attrezzate managerialmente per gestire crescita e cambiamento, i confronti internazionali sono modesti, occorre costruire competenze curatoriali di profondità.
IFA lavora su questi assi, con  programmi di grant e formazione, nelle arti (non solo visive, ma performative e musica), nel rendere le istituzioni culturali auto-sostenibili. Progetti che hanno generato risultati riconosciuti, condotti con un’azione di fundrasing diffuso che si basa sulla assoluta trasparenza finanziaria. Ma non tali da generare un’inversione di rotta e influenzare i decisori. La ricerca di partnership in Europa è tra le ragioni del tour.
Leggiamo il subcontinente anche attraverso la grande mostra  itinerante (al MAXXI fino al 29 gennaio),  curata  da Julia Peyton Jones, conHans Ulrich Obrist, Gunnar B. Kvaran e Giulia Ferracci: un grande affresco con sessanta opere di trenta artisti che portano ad un’immagine cruda e vera, lontana da cedimenti esotici. Un paese in cui cresce la tensione sulle classi vulnerabili, ma anche la coscienza politica e la forza dialogica e  ci si interroga nell’epoca delle interconnessioni globali sulle migrazioni, sulle relazioni tra comunità rurali e urbane, sulla religione e lo spirito di casta.

Vellani ci richiama alla protezione dell’integrità artistica “C’è una tensione tra cultura e mercato, che si intensifica quando gli imprenditori artistici in Paesi come l’India cercano di ampliare e rendere globale il mercato culturale. I mercati privilegiano il gusto e le preferenze dei consumatori, piuttosto che il significato specifico che le arti assumono nel loro contesto originale e i loro creatori. Più aumenta la distanza tra i consumatori e i creatori d’arte, più aumenta la probabilità che le industrie culturali, il cui scopo è ben lontano dal proteggere le diversità culturali, creino un mercato culturale che rende la creazione artistica incomprensibile oltre che omologata, distorcendo la natura dell’arte.”
Temi che riguardano tutti i mondi.

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