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Cultura, felicità e benessere: uno sguardo spagnolo

  • Pubblicato il: 15/04/2018 - 09:03
Rubrica: 
CULTURA E WELFARE
Articolo a cura di: 
Annalisa Cicerchia

Qualche mese fa, l’Osservatorio sociale della Fondazione La Caixa, di Barcellona, ha intitolato uno dei suoi dossier periodici: “Partecipazione culturale e benessere: che cosa ci dicono i dati?”. La pubblicazione raccoglie e commenta indicatori sul valore economico della cultura, dati sulle principali barriere che impediscono di partecipare, sui fattori che determinano la partecipazione culturale, e sul suo impatto sul benessere, con riferimento all’Europa e alla Spagna.  In particolare, il Dossier mostra l’alto grado di polarizzazione fra persone che prendono parte e persone che non prendono parte ad attività culturali, cioè, fra persone che esprimono una domanda di cultura, generalmente con elevati livelli di redditi e di istruzione (e giovani, nel caso del cinema) e persone che non hanno mai partecipato e che di solito presentano bassi livelli di reddito e di istruzione, e che non hanno interesse per gli spettacoli dal vivo, la visita di siti di interesse culturale e non hanno risorse sufficienti per finanziare l’attività (nel caso del cinema).
Rubrica di ricerca in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo


Qualche mese fa, l’Osservatorio sociale della Fondazione La Caixa, di Barcellona, ha intitolato uno dei suoi dossier periodici: “Partecipazione culturale e benessere: che cosa ci dicono i dati?”

La pubblicazione raccoglie e commenta indicatori sul valore economico della cultura, dati sulle principali barriere che impediscono di partecipare, sui fattori che determinano la partecipazione culturale, e sul suo impatto sul benessere, con riferimento all’Europa e alla Spagna.
 
Fra i numerosi indicatori proposti alla riflessione, c’è la diffusione di pratiche artistiche amatoriali[1], che, in seno alla popolazione dell’Unione Europea, coinvolge il 17,5% dei cittadini. I valori per la Spagna sono decisamente più bassi (14,2%). E’ interessante che la percentuale italiana sia maggiore (18,2%), anche se molto al di sotto delle quote raggiunte da Germania (29,7%), Svezia (27,5%) e Regno Unito (21,7%).
 
In particolare, il Dossier mostra l’alto grado di polarizzazione fra persone che prendono parte e persone che non prendono parte ad attività culturali, cioè, fra persone che esprimono una domanda di cultura, generalmente con elevati livelli di redditi e di istruzione (e giovani, nel caso del cinema) e persone che non hanno mai partecipato e che di solito presentano bassi livelli di reddito e di istruzione, e che non hanno interesse per gli spettacoli dal vivo, la visita di siti di interesse culturale e non hanno risorse sufficienti per finanziare l’attività (nel caso del cinema).
 
Altri dati permettono di apprezzare quanto i cittadini si sentano soddisfatti degli spazi culturali delle città europee[2]. Ad Amsterdam, esprime un giudizio positivo il 95% degli intervistati, a Berlino il 92%, a Barcellona l’82%, a Roma il 69%, ad Atene il 68%, a Madrid il 67%.
 
Qual è il livello di difficoltà che si incontra nell’accesso a spazi culturali come cinema o teatri[3]? Il confronto internazionale pone l’Italia in una posizione di vantaggio assoluto, con oltre il 40% dei rispondenti che ritengono l’accesso facile, contro il 38% della media UE e il 32% degli spagnoli che ritengono difficile o difficilissimo accedere ai servizi culturali.
 
Il pezzo forte del Dossier è costituito da un articolo di Nela Filimon sull’impatto della cultura sulla felicità degli spagnoli, costruito sulla definizione delle due dimensioni della felicità, quella di natura individuale e quella sociale, coprodotta o collettiva e su una rassegna di ricerche che includono le arti e la cultura fra le fonti della felicità[4].
Si parte, com’è giusto, dal Paradosso di Esterlin: la relazione tra reddito e felicità auto percepita non cresce linearmente nel tempo. All’inizio, le due variabili aumentano insieme, ma dopo una certa soglia e dopo un certo tempo, ogni ricchezza in più non solo non accresce la felicità, ma l’andamento s’inverte e la felicità si stabilizza o decresce. Quindi, il reddito non è sufficiente a spiegare il benessere soggettivo.
 
Bill Ivey, ex direttore del National Endowment for the Arts negli USA, pone la questione così: “Se escludiamo il sogno di una macchina più grossa, di una casa più grande o di una vacanza più esotica, come possono i leader politici agire per rendere possibile una qualità della vita elevata per tutti?”. La risposta, per Ivey, sta in una “vita espressiva” vibrante, intesa come equilibrio fra la nostra eredità (ciò che siamo) e la nostra voce (quello che possiamo diventare). La cultura e le arti possono essere lo spazio in cui le due componenti dell’equazione si riescono a unire, perché sono una espressione delle nostre idee e della nostra identità (eredità) e nello stesso tempo lo spazio (voce) che ci consente di provare emozioni e di creare e trasmettere nuovi valori per il futuro. Un buon governo dovrebbe quindi promuovere una “vita espressiva”, garantendo, per esempio, accesso a tutti alla cultura[5].
Oltre a Clark, Flèche e Senik[6], i quali, nel 2012, hanno confermato empiricamente la validità del Paradosso di Easterling con riferimento a Spagna, Francia, Italia, Norvegia e Paesi Bassi, un grande numero di studi hanno approfondito i temi dell’economia della felicità, includendo, e spesso utilizzando come sinonimo di felicità, il concetto di benessere (soggettivo o auto percepito). Su questa scia, nel 2014 il Barometro delle opinioni del Centro Spagnolo di Ricerca Sociologica (CIS) ha messo in evidenza l’effetto positivo delle attività culturali sulla felicità e il benessere[7]. Su una scala di felicità da 0 a 10, chi va al cinema o a teatro raggiunge 7,49; che va ai concerti 7,46; chi ascolta musica, 7,36; chi legge libri o riviste, 7,34; chi ascolta la radio 7.32. Infine, chi guarda la televisione si accontenta di un punteggio di 7,29.
 
Nel 2015, Fujiwara e MacKerron hanno ricostruito due scale di impatto, sulla felicità e sul senso di relax, di attività come lo spettacolo dal vivo, la recitazione e il canto, la visita a musei e gallerie o biblioteche, l’ascolto di musica e la lettura di libri[8]. Per i due studiosi, la condivisione di queste attività con altre persone (partner, figli, familiari, colleghi, clienti, amici, ecc.) aumenta, tanto il senso di felicità, quanto l’effetto rilassante che si producono.
 
Ulteriori esplorazioni possono essere condotte nel World Database of Happiness[9], che contiene parecchi studi, che coinvolgono una varietà di paesi, che indicano quanto e come il consumo culturale renda più felici.
 
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[1] Dati raccolti attraverso l’European Survey on Income and Living Conditions (EU-SILC), Modulo ad hoc 2015 sulla partecipazione culturale e sociale.
[2] La fonte è l’Eurobarometro Flash 419 del 2015 “Qualità della vita nelle città europee”.
[3] I dati sono tratti dall’Indagine European Quality of Life del 2012.
[4] Frey, B.S. (2008): Happiness: A Revolution in Economics, Cambridge, MA, and London: MIT
[5] Ivey, B. (2009): “Expressive life and the public interest”, in S. Jones (ed.): Expressive Lives, London: Demos.
[6] Clark, A.E., S. Flèche and C. Senik (2012): The great happiness moderation, Discussion Paper Series, Forschungsinstitut zur Zukunft der Arbeit, No. 6761
[7] Centro de Investigaciones Sociológicas (2014): Barómetro de noviembre 2014, Madrid: CIS.
[8] Fujiwara, D., and G. MacKerron (2015): Cultural activities, artforms and wellbeing, Manchester: Arts Council England [http://www. artscouncil.org.uk/sites/default/files/downloadfile/Cultural_activities_artforms_and_wellbeing. pdf].
[9] Veenhoven, R. (dir.) (2017): World Database of Happiness, Erasmus University Rotterdam, Happiness Economics Research Organization [http://worlddatabaseofhappiness.eur.nl].