Crowdfunding d’élite
E’ il tema mantra del momento, il crowd funding, ma forse ancora poco compreso.
Letteralmente «soldi dalla folla» per finanziare e rendere sostenibili attraverso la diffusione capillare della rete progetti e idee.
Una pratica sempre più diffusa e innovativa – nel 2012 su Produzioni dal basso, la prima piattaforma di crowdfunding italiana nata nel 2005, 3.274.305 il valore totale dei progetti presentati, 8819 quelli pubblicati approvati, 2477 quelli finanziati con successo[1] – che oltreché l’accumulo di denaro ha un più importante obiettivo, quello di far crescere il senso di appartenenza ad una «buona causa», generando partecipazione e cittadinanza attiva.
E’ quanto ha tentato vice versa, il progetto espositivo del Padiglione Italia alla 55. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia curato da Bartolomeo Pietromarchi (nella foto) con la campagna di crowdfunding organizzata e presentata lungo tutta la penisola per sostenerlo, andando ad incrementare i fondi messi a disposizione dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per la produzione delle opere, la promozione, la comunicazione e la mediazione culturale.
Un’azione che ha suscitato curiosità, interesse e che ha incontrato una buona partecipazione aprendo un nuovo fronte di condivisione ma che, forse, ha bisogno si maturare ancora.
Nonostante sia da apprezzare l’utilizzo di questo strumento all’interno di una istituzione cardine come La Biennale e nonostante siano stati raccolti 178.678,00 euro (al lordo dell’IVA e delle ritenute di legge) attraverso donazioni da parte di 252 persone - provenienti per lo più dall’Italia, ma con adesioni anche da Stati Uniti, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Svizzera, Qatar, Nuova Zelanda e Francia – ciò che è mancato è il vero «senso» del crowdfunding, ovvero la partecipazione «dal basso».
Esigue le donazioni di beliver e fan, mentre a fare il «malloppo» sono stati pochi e prestigiosi mecenati e paladini, tanto che il 21% dei fondi raccolti è stato utilizzato per realizzare i benefit per loro previsti.
Da apprezzare comunque la trasparenza nella gestione del danaro raccolto: il 28,5% delle entrate sono state utilizzate per la produzione delle opere, il 27% per la comunicazione e la promozione, l’8% per la mediazione culturale, il 15% per i costi amministrativi e di gestione, la consulenza fiscale e legale, le spese di struttura, i collaboratori e le ritenute di legge.
In ogni modo risultati positivi, per essere un progetto pilota, che però fanno emergere da una parte l’urgenza di un adeguamento fiscale in tema di crowdfunding, dall’altra il bisogno di coinvolgere strati sempre più ampi della popolazione rendendoli parte di un processo culturale il cui unico beneficio è proprio farne parte.
E’ necessaria una rivoluzione di senso. D’altronde ai believer non interessavano costose cene in location prestigiose con i curatori ma sarebbe bastata l’«infinita gratitudine» per aver contribuito a portare l’arte italiana nel mondo.
© Riproduzione riservata
[1] Analisi delle Piattaforme di Crowdfunding Italiane di Daniela Castrataro (twintangibles & crowdfuture) e Ivana Pais (Università Cattolica)
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