Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Bembo tra i capolavori di Bellini, Tiziano, Mantegna, Raffaello

  • Pubblicato il: 15/06/2012 - 11:27
Autore/i: 
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Stefano Luppi
Tiziano

Padova. Si annuncia per l’inverno 2013 (date fissate dal 2 febbraio al 19 maggio, a Palazzo del Monte) una grande mostra, presentata nei giorni scorsi dall’ente organizzatore, la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo: «Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento» che riporterà a «casa», nella città dove visse a lungo, le opere d’arte della collezione personale dell’intellettuale e cardinale veneto. La casa di Bembo, in via Altinate, ancora esiste poco lontano dalla sede scelta per la mostra e sarà visitabile: è a Palazzo Camerini, oggi sede del Museo della Terza Armata, ed è stata individuata nel 1924 grazie agli studi del padovano Oliviero Ronchi. Nel 1527, ai tempi dell’acquisto di Bembo a un’asta, la dimora è ai margini della città: il religioso ben presto la trasforma in un luogo dedito alle arti nel pieno senso «rinascimentale» con collezioni artistiche, una ricchissima biblioteca, i giardini che fanno da fondali per le statue e sono ricovero di piante rare e preziose e persino per un piccolo orto botanico. Dopo vari passaggi ereditari la dimora, molto rimaneggiata prima nel ‘600 e poi negli anni Trenta del ‘900, passa ai conti Camerini che successivamente la donano alle Forze Armate per farne un museo. Ma i visitatori avranno soprattutto la possibilità di ammirare tra alcuni mesi alcune opere fondamentali appartenute all’intellettuale, oggi disperse in molti musei del mondo, di Bellini, Tiziano, Mantegna, Raffaello oltre a sculture, gemme, bronzetti, manoscritti miniati, monete rare e medaglie riuniti per l’occasione grazie all’organizzazione della Fondazione ex bancaria insieme al Centro Internazionale Andrea Palladio e agli studi di un consiglio scientifico presieduto da Howard Burns e composto da Giovanni Agosti, Davide Banzato, Guido Beltramini, David Alan Brown, Matteo Ceriana, Marco Collareta, Caroline Elam, Massimo Firpo, David Freedberg, Davide Gasparotto, Fabrizio Magani, Paola Marini, Arnold Nesselrath, Alessandro Nova, Pier Nicola Pagliara, Fernando Rigon, Vittoria Romani, Salvatore Settis, Adolfo Tura, Claudio Vela (la rassegna sarà curata da Beltramini, Gasparotto e Tura). Secondo gli studiosi proprio la ricchezza e la varietà di quanto raccolto da Bembo determinano un’idea, straordinaria per la precocità in cui avviene, di «casa delle Muse» o «Musaeum» precursore del moderno museo che si svilupperà nelle prime forme alcuni decenni dopo. Pietro Bembo (1470 – 1547, Carlo Dionisotti ne ha tracciato un saggio biografico disponibile sul sito http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-bembo_(Dizionario-Biografico)/), veneziano di nascita, è una figura chiave del Rinascimento italiano. Ventenne, pubblica il suo primo libro intitolato «Il sogno», poche pagine dedicate all’amore per la sorella dell'amico Girolamo Savorgnan, in cui l’autore si immagina sdraiato all'ombra di un albero con la personificazione della Virtù che gli tiene un piccolo discorso per esortarlo agli studi. Nel 1506 Bembo lascia Venezia per recarsi alla corte di Urbino, dove va in qualità di poeta avendo nel frattempo composto la raccolta «Gli Asolani», un dialogo sull'amore in volgare toscano, contenente anche alcune poesie. Nel 1512 si trasferisce a Roma dove ben presto entra nella corte papale con Leone X che, appena eletto, nel marzo del 1513 lo nomina suo segretario personale. Presso il Papa Bembo compone le «Prose della volgar lingua», la prima grammatica della lingua italiana in cui si propone, in una Italia divisa in numerosi Stati, che ogni intellettuale italiano, nel momento in cui si mette a scrivere, usi una sola lingua, quella che deriva degli esempi fulgidi del Trecento di Petrarca e Boccaccio. La fama dell’intellettuale, e gli stretti legami con la corte papale romana, fanno sì che Bembo nel 1539 sia nominato cardinale da papa Paolo III Farnese lo fa cardinale: nominato successivamente sacerdote diviene vescovo di Gubbio nel 1543. Oltre che amante delle lettere lo è anche delle arti, tanto che nel 1542 parla, riferito all’arte, di «questa mia sensualità», termini che gli studiosi hanno avvicinato alle tendenze che ha un collezionista con gli oggetti della propria raccolta. Essa era composta da dipinti, sculture, monete, gemme, vasi e numerose sculture che noi oggi conosciamo per la cronaca che ne fece nel 1530 il patrizio veneziano, nonché collezionista anch’esso, Marcantonio Michiel. Alcuni oggetti appartenevano già al padre Bernardo, noto umanista e diplomatico presso la Serenissima, come per esempio il dittico di Hans Memling oggi suddiviso fra Washington e Monaco di Baviera, mentre molti li radunò Bembo. Alcuni esempio sono il San Sebastiano di Andrea Mantegna (oggi a Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Cà d’Oro), il Doppio ritratto di Andrea Navagero e Agostino Beazzano di Raffaello (Roma, Galleria Doria Pamphili) che raffigura due grandi amici di Bembo, con i quali il letterato aveva condiviso gli anni dorati alla corte di papa Leone X. Tra le antichità citate da Michiel anche la testa di Antinoo (Napoli, Museo Archeologico Nazionale), il celebre favorito dell’imperatore Adriano, e la testa bronzea del cosiddetto Servilius Ahala (Napoli, Museo Archeologico Nazionale). Questi non erano solo oggetti preziosi, ma erano per Bembo anche oggetti di studio, opere che gli consentivano di avere come vivi davanti agli occhi gli amati protagonisti della storia greca e romana. Alcuni anni dopo la morte di Bembo, nonostante il suo testamento parlasse di evitare lo smembramento, il figlio Torquato avviò una serie di vendite: molte opere furono acquistate dai più importanti collezionisti del tempo, le grandi famiglie principesche dei Farnese, dei Medici, dei Gonzaga, i Wittelsbach a Monaco di Baviera. Nel 1592, ad esempio, dopo un’estenuante trattativa, il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga riuscì ad accaparrarsi la Tabula Isiaca (oggi a Torino, Museo Egizio), una grande lastra in bronzo di epoca romana (I sec. d.C.) intarsiata con metalli di vari colori con geroglifici e figure. Alcuni dipinti vennero ereditati dalla figlia Elena Bembo che aveva sposato il nobile veneziano Pietro Gradenigo: essi rimasero in casa Gradenigo fino alla caduta della Repubblica di Venezia a fine Settecento, ma poi anch’essi, è il caso del San Sebastiano di Mantegna, vennero venduti. La mostra padovana del prossimo anno, organizzata dopo capillari studi, permette di ricostruire concretamente la famosa collezione d’arte che il più grande letterato del Cinquecento aveva raccolto nella sua casa.
 
© Riproduzione riservata