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Ascolto la radio della polizia, vado e fotografo omicidi

  • Pubblicato il: 29/03/2013 - 09:48
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Stefano Luppi
Weegee Anthony Esposito

Reggio Emilia. Il grande fotografo, fotoreporter e scrittore statunitense Weegee, pseudonimo di Arthur Fellig (Złoczew 1899 – New York 1968) sarà il protagonista della rassegna «Weegee. Murder Is My Business»,  nell’ambito del Festival di Fotografia Europea, dal 3 maggio al 14 luglio alla Fondazione Palazzo Magnani.
L’appuntamento, curato da Brian Wallis, chief curator dell’International Center of Photography (ICP) di New York, è sostenuto dalla Fondazione Palazzo Magnani della Provincia reggiana, Fondazione ex bancaria Pietro Manodori e dall’americana David Berg Foundation.
Con un centinaio di immagini raffiguranti omicidi della malavita, orrendi incidenti stradali, devastanti incendi di caseggiati popolari, tutte scattate in bianco e nero si ripercorrerà la carriera di Weegee, fotoreporter freelance, a partire dalla metà degli anni Trenta del secolo scorso fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Weegee definiva l’omicidio «Il mio lavoro» e per questo la frase è stata scelta come titolo: del resto nel 1938 il fotografo è il primo cittadino di New York a poter installare il sistema radio della polizia sulla sua autovettura Chevrolet, sulla quale è anche montata la pesante attrezzatura fotografica che la trasformava in una camera oscura a quattro ruote.
Ma perché tanti omicidi all’epoca nella Grande Mela? Gli anni Trenta erano il momento di maggior «fortuna» della «Murder Inc.», la gang ebrea di Brownsville che forniva sicari a pagamento al Syndacate, l’associazione newyorkese di boss della malavita gestita da italiani. Il forte contrasto che questi affari ebbero da parte delle forze governativi e legali fece sì che in città, tra il 1935 e il 1941, ci fu un’escalation del numero di omicidi di gangster da quattro soldi e potenziali informatori.
Con il suo solito senso del macabro, tra l’altro, Weegee si definiva il «fotografo personale della Murder Inc.» e sosteneva forse esagerando di essersi occupato di 5mila omicidi. Il fotografo spesso lavorava a fianco della polizia, ma aveva anche stretto amicizia con criminali di alto livello come Bugsy Siegel, Lucky Luciano e Legs Diamond.
La mostra immerge dunque nella vita quotidiana tra gli orrori della New York di quasi un secolo fa, di cui presto il Arthur Fellig diviene presto il «cantore» visivo con scatti capaci già al momento della fattura di apparire «storici». Forse non sociologici, ma certo in grado di segnare un’epoca tanto che ben presto la drammaticità delle immagini farà parlare della prima forma di giornalista da tabloid. Il lavoro del fotoreporter freelance era proprio come quello che si vede nei film in bianco e nero dell’epoca che hanno restituito un mito al giornalismo che forse neppure all’epoca aveva: egli lavorava quasi solo la notte, partendo dal suo piccolo alloggio costruito davanti alla Centrale di polizia newyorkese.
Grazie alla radio arrivava immediatamente sul posto e aveva modo di scattare immagini da varie angolazioni non dimenticando mai l’ironia (o era appunto senso del macabro?) che gli faceva dire che fotografare morti era la professione più semplice al mondo perché il soggetto resta immobile. La mostra reggiana presenta rari esemplari delle immagini più famose e rappresentative di Weegee, un centinaio di pezzi tratto dall’esauriente archivio di Weegee depositato presso l’ICP e composto da più di 20mila stampe, oltre a quotidiani, riviste e film dell’epoca. Nelle sale sarà anche predisposta una ricostruzione dello studio di Weegee, insieme a una serie di monitor touch-screen che permetterà al visitatore di approfondire ulteriori dettagli relativi alle immagini e agli oggetti presenti nella sala. Oltre a fotografare Weegee scrisse molto, compresa l’autobiografia «Naked City» del 1946, e realizzò numerose mostre alla Photo League, l’importante associazione fotografica che promuoveva fotografie politicamente impegnate. Esse lo fecero presto divenire un numero uno del fotogiornalismo tanto che il Museum of Modern Art gli organizzò due mostre nel 1943 e nel 1945 e acquisì parte dell’archivio. La principale parte di quest’ultimo è stato invece donato all’ICP nel 1993 da Wilma Wilcox, la sua compagna per molti anni. Previsti infine una serie di incontri a corollario della rassegna. Sabato 4 Maggio alle ore 19 conferenza con il curatore della mostra Brian Wallis dell’International Center of Photography (Aula Magna dell’Università, ingresso libero). Sabato 15 maggio ore 9.30/16.30 workshop in collaborazione con la Biblioteca Panizzi: partecipa Anne Cartier Bresson con «I luoghi della fotografia: Dans l’atelier di Photographe | Nel laboratorio del fotografo» (Aula Magna dell’Università, quota di iscrizione 37 euro). Altri incontri sono previsti a Palazzo Magnani tra giugno e luglio. Questi esperti forse diranno la loro anche su un quesito al momento ancora senza risposta certa: perché Arthur Fellig si fece chiamare Weegee? Secondo alcuni il nome sarebbe l’equivalente fonetico del «Ouija» un popolare gioco dell’epoca che prediceva il futuro, mentre altri spiegano che l’appellativo prese origine dalla domanda ironica postagli da un poliziotto relativamente alla sua presenza costante e tempestiva sulla scena di ogni crimine. Altri studiosi ritengono invece che derivi dalla stroncatura di «squeegee boy», con riferimento alla sua precedente attività al New York Times dove rimuoveva dell’eccesso di acqua le stampe prima di essere processate negli asciugatori.

Ogni informazione sulla mostra e le conferenze sui siti www.palazzomagnani.ithttp://panizzi.comune.re.it,  e www.fotografiaeuropea.it.

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