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ART BONUS, QUESTO SCONOSCIUTO

  • Pubblicato il: 15/01/2016 - 15:00
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Chiara Galloni

Lunedì 11 gennaio 2015, il Teatro Comunale di Bologna – non a caso – ha ospitato il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, per un dialogo con le principali istituzioni del territorio su tema dell’ART BONUS: un sistema di benefici fiscali a vantaggio della cultura, che finalmente apre in Italia inedite collaborazioni pubblico/privato, ma soprattutto tante domande

Prima ancora di essere presentato con una campagna di comunicazione ufficiale del Governo, nel 2015 l’Art Bonus ha avuto un portato di 56 milioni di euro e 1.426 donatori effettivi. Numeri che il Ministro Franceschini ha segnalato con orgoglio  in occasione del convegno “Pubblico/Privato: un «accordo» per la musica”, e che in sé sono in effetti interessanti. Tuttavia, la validità della misura consisterà proprio nel suo attecchimento e nella sua capillarità, elementi che oggi mostrano maggior debolezza, se considerata la platea di soggetti spettanti potenziali (in Italia ad oggi si registrano oltre 6 milioni[1] di aziende, senza contare i soggetti non profit e le persone fisiche benestanti che ugualmente possono accedervi) e il rischio di concentrazione d’uso sui grandi attrattori.
 
 
Cos’è l’Art Bonus
L’Art Bonus – per chi ancora non avesse visitato la pagina artbonus.gov.it – è un incentivo fiscale sotto forma di credito di imposta del 65% sull’importo versato a vantaggio di privati (persone fisiche o giuridiche) che eroghino liberalità ad istituzioni culturali pubbliche. La misura è stata introdotta formalmente con la legge 106/2014 e la Legge di Stabilità 2016 ne ha confermato le percentuali e la permanenza. “Non è in fase sperimentale, il provvedimento è attivo e prevede procedure trasparenti e basiche: basta contattare l’ente, erogare e allegare copia del versamento alla propria dichiarazione dei redditi”, continua il Ministro. Meno basico evidentemente è diffondere l’esistenza dello strumento e soprattutto modificare il bagaglio culturale del mecenate italiano, che – salvo eccezioni – a questo approccio non è mai stato abituato. Andrea Goldstein di Nomisma, durante l’incontro invita infatti alla cautela: “In Italia a onor del vero ci sono oltre 720 tipologie di tax expenditure”, quindi il tema diventa quello del loro effettivo funzionamento,cioè una garanzia di efficienza economica e l’agilità amministrativa”, sia dal lato di chi eroga, che di chi riceve. Allo stesso modo, continua, fondamentale è inserire questi provvedimenti in un’operazione programmatica e non far passare il messaggio che la defiscalizzazione in cultura sia solo una soluzione estemporanea per legittimare un arretramento delle risorse pubbliche.
 
 
Più privato, meno pubblico?
La preoccupazione sul calo dei fondi pubblici alla cultura è legittima, per quanto smentita dal Ministro: «È bello essere qui l'indomani di una Legge di Stabilità che ha invertito la tendenza di questi anni. Le risorse alla cultura, seppur con cicli diversi, sono state dimezzate dal 2000 al 2013: dal Governo Letta si è interrotta la stagione dei tagli e quest’anno abbiamo un’inversione di tendenza forte, in termini numerici e come scelta del sistema paese, 2 miliardi di euro, +27%”. Prendiamo, quindi, come uno strascico del passato il fatto che proprio il Teatro che ospita il convegno abbia visto per il 2015 un calo (inatteso) dei contributi FUS di 2 milioni di euro, e come buona nuova la crescita dei contributi privati per 1,3 milioni, di cui il 68% in ambito Art Bonus.
Che il Teatro Comunale di Bologna abbia saputo costruire un ambiente credibile e cogliere, insieme al tessuto imprenditoriale locale, le possibilità di una sinergia positiva è evidente. Come ricorda il Sindaco Virginio Merola «A Bologna non si discute più se abbia senso costruire rapporti pubblico/privato, qui si praticano da anni». Forse però in generale le Fondazioni Lirico Sinfoniche appaiono l’ambito d’elezione per applicazione dell’Art Bonus, tanto più nel caso di Bologna in cui sia il Comune che la Regione Emilia-Romagna nell’ultimo mandato non sono arretrate di un millimetro nelle risorse destinate al comparto, anzi, ponendosi come ulteriore garanzia agli occhi della comunità. Gli enti lirici, del resto, tra le eccellenze del patrimonio culturale italiano, oggi più che mai sono chiamati ad una doverosa ricerca di efficienza e innovazione e per questo necessariamente si aprono  alla co-progettazione e al territorio, per lo più in un’ottica di lungo respiro: un attrattore perfetto, insomma, per l’Art Bonus. In quest’ottica, il beneficio fiscale  è una componente che stimola gli investitori, ma non l’unica. «L’intervento ha ragioni pedagogiche e formative, culturali – continua il Ministro rivolto alle aziende – Se è vero che il made in Italy si caratterizza per la componente emotiva e culturale che sa sintetizzare nei propri prodotti, se siete così orgogliosi di questo patrimonio che dà sostanza alla vostra impresa, allora adesso è il momento di restituire, di agire. Mettetevi un distintivo. Le erogazioni Art Bonus devono diventare un elemento di misurazione dell’impatto sociale delle aziende».
 
 
L’Art Bonus per il contemporaneo…
Se il caso di Bologna e il suo “teatro di innovazione e di progresso”, come lo definisce il Sovritendente Nicola Sani, ha cominciato ad implementare (e beneficiare) dell’Art Bonus nel migliore dei modi, questo best case lascia ugualmente sospesa una riflessione generale. Il provvedimento oggi è dedicato esclusivamente a beni culturali pubblici e limitatamente ad interventi di restauro, protezione e manutenzione. Rispetto agli istituti e ai luoghi della cultura (sempre pubblici), si legge non meglio precisamente di «interventi di sostegno», ma lo sguardo sembra restare comunque ancorato alla conservazione del passato e di quelle strutture della “cultura tradizionale” – il Patrimonio con la maiuscola, potrebbero sostenere molti – che, come del resto dichiara il Ministro, impegnano già la maggior parte del bilancio del Ministero (e con tutta probabilità anche quella degli Assessorati locali). Bene per questi enti, s’intende, che oggi non hanno più scuse per riposizionarsi – né, nel caso specifico delle FLS per sottrarsi al raggiungimento dell’equilibrio di bilancio, indipendentemente dalla proroga.  Ma non benissimo, rispetto al sistema culturale nel suo complesso, che in Italia evidentemente non riesce a concepire e introdurre forme di supporto alla contemporaneità, e alla sua propulsione verso il futuro.
Rivoluzionario allora sarebbe considerare – come avanza l’Assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna Massimo Mezzetti – l’Art Bonus tra privati, a sostegno di quelle esperienze di produzione culturale in ambito imprenditoriale e micro-imprenditoriale che stanno rinnovando dall’interno il sistema di produzione culturale italiano, ma ad oggi faticano a costruire la propria economia e stabilità. Applicare strumenti come l’Art Bonus a queste realtà significherebbe, continua Mezzetti, allo stesso tempo combattere quel sommerso che, per necessità o dolo, «tiene moltissimi altri lavoratori della cultura nell’illegalità».
 
 
… o l’Art Bonus per tutti?
Si aggiungono le voci di chi vorrebbe un Art Bonus dedicato anche alle fondazioni – d’impresa e bancarie – come enti beneficiari e di chi, più criticamente, si chiede in questo caso come poter distinguere tra quelle piccole fondazioni che talvolta si trovano proprietarie di patrimoni artistici in deperimento senza avere facoltà di restaurarli e quelle che invece potrebbero da sole finanziare il restauro di mezza Italia. Ma anche questa provocazione richiama il tema generale della credibilità delle strutture beneficiarie, tanto più in quanto inserite in un sistema fiduciario per cui una specifica esperienza negativa rischia di invalidare la percezione dello strumento tout court.
Più di un imprenditore presente al convegno ha sollevato il tema della misurabilità del proprio investimento ed è lecito domandarsi se convincere un’impresa ad investire su un’istituzione culturale debba essere solo una questione di cuore, di “marketing” o di appeal dell’ente, o se ciascun ente beneficiario sia tenuto (e come) a dimostrare con puntualità gli obiettivi attesi e i risultati ottenuti con l’utilizzo dei fondi raccolti, consentendo così ai partner di contribuire con cognizione di causa e monitorare il proprio investimento – magari partecipando attivamente alla governance di un processo che li vede coinvolti.
Che l’Art Bonus possa, quindi, più o meno direttamente incentivare la diffusione di un governo partecipato delle istituzioni culturali pubbliche? Quanto è conciliabile questa intenzione con un atto di donazione liberale?
 
Le domande si concatenano e anche il convegno termina senza risposte precise; di sicuro siamo davanti all’intervento che non si poteva più attendere. Quanto al suo impatto, ai quesiti che apre e al grado di perfettibilità, siamo solo all’inizio, Ministero dell’Economia e delle Finanze permettendo.
 
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[1] http://goo.gl/pdXAWK