Ancora Europa 2014-2020 e la cultura: prime indicazioni dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale
La politica di coesione è il principale strumento attraverso cui ci si propone di ridurre le disparità di reddito e di sviluppo socio-economico tra le regioni che appartengono alla Comunità Europea. E’ una politica ambiziosa, che si serve di vari strumenti, tra cui il Fondo Sociale Europeo (FSE), che affronta tutti i fattori di esclusione ed emarginazione, dalla disoccupazione di lungo termine alla disabilità, dalla discriminazione etnico-culturale alle problematiche della terza e della quartà eta; e il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR), che affronta tutte le tematiche connesse al rafforzamento della competitività dei territori europei. Il FESR è di particolare interesse dal punto di vista delle politiche culturali, soprattutto per quanto riguarda la creazione di valore economico e, indirettamente, sociale – e costituisce quindi uno strumento decisivo per lo sviluppo economico locale a base culturale, soprattutto in un momento come quello attuale in cui le amministrazioni pubbliche hanno sempre meno risorse da dedicare agli aspetti più strategici della politica culturale territoriale.
Poiché l’obiettivo del FESR è quello di ridurre gli squilibri territoriali a livello regionale, la sua dotazione di risorse è necessariamente legata al livello di sviluppo socio-economico di ciascuna Regione, classificato su tre livelli: quello delle Regioni in ritardo di sviluppo (il cui reddito pro-capite è inferiore al 75% della media dell’Europa a 27), quello delle Regioni ‘in transizione’ (il cui reddito pro capite è tra il 75% e il 90% della media dell’Europa a 27), e quello delle Regioni sviluppate (il cui reddito pro-capite è superiore al 90% della media dell’Europa a 27). In Italia, le Regioni in ritardo di sviluppo sono quelle del Mezzogiorno (Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia), mentre quelle in transizione sono Abruzzo, Molise e Sardegna. Tutte le altre Regioni italiane appartengono alla fascia più alta di sviluppo territoriale. Gli strumenti attraverso cui la politica di coesione si traduce in concrete politiche territoriali sono i POR (Piani Operativi Regionali, uno per ciascuna Regione, con l’eccezione delle Province Autonome di Trento e Bolzano, ciascuna delle quali viene conteggiata come una Regione) e i PON (Piani Operativi Nazionali, rivolti esclusivamente alle Regioni in ritardo di sviluppo).
L’articolazione contenutistica della politica di coesione europea procede a cascata: le Linee Guida Strategiche Comunitarie fissano i capisaldi della politica di coesione; il Quadro Strategico Nazionale trasferisce le linee guida nel contesto nazionale, alla luce delle priorità riconosciute dai singoli governi, e infine i Piani Operativi Regionali specificano ulteriormente le priorità delle politiche territoriali al contesto specifico di ciascuna Regione. Nell’orizzonte di pianificazione 2014-2020, che è quello all’interno del quale ci troviamo oggi, il FESR si articola attorno a quattro grandi concentrazioni tematiche, che hanno un carattere prioritario anche se non esclusivo: innovazione e ricerca; agenda digitale; sostegno alle piccole e medie imprese; economia a basso tenore di carbonio. Come si può vedere, nessuno di questi temi riguarda direttamente la cultura, ma i primi tre aprono comunque ampi spazi nei quali è possibile promuovere progettualità in ambito culturale, in aggiunta ai margini di discrezionalità lasciati a ciascun paese membro.
In questo momento, la Commissione Europea sta procedendo all’approvazione dei singoli piani. Attualmente, per l’Italia sono già stati approvati 11 POR (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano, Toscana, Umbria, Marche, Lazio) e 3 PON, tra cui quello specificamente destinato alla cultura. Come si può notare subito, si tratta di tutti i POR delle regioni del Nord e del Centro (con Veneto e Friuli Venezia Giulia ancora mancanti all’appello), mentre restano da approvare ancora tutti i POR delle Regioni del Sud: un nuovo segnale della difficoltà di pianificazione già emersa nei cicli di programmazione precedente quanto a capacità di spesa dei fondi di coesione nelle regioni del nostro Mezzogiorno. Anche da questo quadro parziale, tuttavia, è possibile trarre qualche prima indicazione delle opportunità di sviluppo locale a base culturale aperte dalle nuove politiche di coesione, e in particolare dall’interpretazione che le singole Regioni hanno dato delle linee guida definite a livello comunitario e nazionale.
Bisogna in primo luogo notare che soltanto poche tra le Regioni i cui POR sono già stati ufficialmente approvati, 5 su 11 in particolare, inseriscono la cultura già al livello dei propri Obiettivi Tematici, ovvero i capisaldi strategici principali della programmazione. Più specificamente, nel caso di Piemonte e Toscana, il tema è preservare e promuovere il patrimonio culturale e naturale. La Lombardia punta sull'attrattività del patrimonio culturale e naturale nelle aree interne, l’Umbria invece sulla promozione dell'attrattività del patrimonio culturale e naturale, la Valle d'Aosta sulla promozione del turismo attraverso il restauro e la valorizzazione del patrimonio culturale. Quanto a Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Marche e Province Autonome di Trento e Bolzano, non ci sono Obiettivi Tematici a carattere culturale e quindi soltanto, nei casi migliori, sotto-obiettivi. Quanto al PON Cultura relativo alle 5 Regioni meridionali (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), ha un budget importante (più di 490 milioni di euro), e le due priorità sono il "rafforzamento del patrimonio culturale" (?) e l'attivazione dei potenziali territoriali. I principali risultati attesi dal PON sono: un aumento dei flussi turistici, un grande programma di restauri, e il sostegno a poco più di 1.700 PMI, nonché lo stimolo ad un aumento degli investimenti privati nel settore culturale.
Nel quadro complessivo che emerge, le parole ‘promozione’, ‘attrattività’, ‘valorizzazione’ dominano la scena, e la cultura è quasi sempre abbinata all’ambiente, in un’accezione di patrimonio dalla forte caratterizzazione paesistico-territoriale idealmente orientata al potenziamento dei flussi turistici. Le priorità del PON sono più vaghe e in teoria aperte a varie possibilità, ma la specificazione dei principali risultati attesi fa capire che è più un problema di linguaggio che di sostanza. E’ vero che occorrerà attendere come questi Obiettivi (o i rispettivi sotto-Obiettivi, dove ci saranno) verranno declinati nelle concrete azioni di pianificazione, ma certamente la prima impressione non è quella di un cambio di passo rispetto al passato con riferimento al ruolo della cultura nei processi di sviluppo locale. Sarà interessante vedere quali saranno le scelte delle Regioni i cui POR sono ancora in attesa di approvazione, anche se a questo punto è difficile aspettarsi sorprese. Ma la prospettiva prevalente, ancora una volta, sembra quella del modello classico di valorizzazione all’italiana. Nessun riferimento, almeno finora, alle industrie culturali e creative, che troveranno sperabilmente qualche nicchia nell’articolazione degli Obiettivi Tematici o nelle pieghe di priorità più generali quali il sostegno alle piccole e medie imprese o l’agenda digitale; altrettanto può dirsi per i temi del patrimonio digitale, che pure nel nostro paese dovrebbero assumere, a rigor di logica, un peso strategico di primaria importanza; men che meno per i temi degli effetti intersettoriali della cultura (in termini di salute, coesione sociale, ambiente, formazione continua, ecc.), che pure acquistano rapidamente rilevanza nel dibattito strategico europeo e saranno discussi ad esempio a Riga l’11-12 marzo nell’ambito della conferenza organizzata dal Semestre di Presidenza Lettone.
Insomma, per quanto riguarda l’Italia nemmeno questo ciclo di programmazione 2014-2020 si annuncia capace di portare davvero la cultura, e soprattutto le sue tematiche più innovative e potenzialmente più impattanti sull’evoluzione dei modelli di vantaggio competitivo, nelle posizioni alte delle agende delle politiche economiche regionali o nazionali. Sarebbe almeno importante però che si creassero laboratori efficaci di sperimentazione per far sì che ciò possa quantomeno accadere nel prossimo ciclo, e anche se in apparenza manca ancora tanto tempo, in realtà l’esperienza dimostra che se non si inizia a lavorare bene da subito, già nella fase di impostazione, difficilmente sarà possibile farlo a metà strada, o peggio ancora in fase di chiusura della programmazione. E l’esperienza passata dimostra che, in molti, troppi casi, i fondi di coesione spesi per la cultura sono stati spesi in modo frammentario e dispersivo, quando avrebbero invece potuto fare davvero la differenza.
Non lasciamo che accada anche questa volta.
Occorrerà lavorare sulla qualità della progettazione, occorrerà dotarsi di precisi criteri di selezione dei progetti e di valutazione dei risultati. Occorrerà superare mentalità consolidate che interpretano la cultura come un ammortizzatore sociale impermeabile ad ogni considerazione di merito e di contenuti, e soprattutto occorrerà imparare a spendere i fondi in modo appropriato, efficace e nei tempi giusti.
E’ una sfida enorme. E’ anche una delle poche opportunità che ci rimangono per dare il giusto impulso al sistema della produzione culturale del nostro Paese. Un mantenimento dello status quo fino al 2020 potrebbe produrre effetti devastanti su una realtà che, pur con tutte le differenze legate alle singole situazioni territoriali, appare però già ampiamente provata dai tagli e dalle contraddizioni delle scelte del passato più o meno recente.
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